Da "I LORO SCRITTI" di Giuliano Mesa

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Giuliano Mesa nasce nel 1957 a Salvaterra, in provincia di Reggio Emilia. Nel 1978 pubblica Schedario, che raccoglie poesie composte a partire dal 1973. Nel 1985 termina la sua seconda opera, Poesie per un romanzo d’avventura, destinata a rimanere inedita sino al 2010. Nel 1992 esce I loro scritti, prima parte del libro omonimo. Nel 1996 scrive il poema Da recitare nei giorni di festa. Nel 1997 Improvviso e dopo, seconda parte de I loro scritti (che comparirà raccolta in volume solo nel 2010). Nel 2000 escono I Quattro quaderni e pubblica il saggio Frasi dal finimondo. Nel gennaio del 2001 termina il testo del poema Tiresia, che negli anni successivi reciterà in molti teatri italiani ed europei, con le musiche del compositore Agostino Di Scipio. Nel 2002 comincia a lavorare alla sua ultima opera, nun, destinata a restare incompiuta. Nel 2008 tiene a Roma un ciclo di conferenze su Leopardi, Baudelaire, Celan, Rosselli, Beckett: ne escono alcune pubblicazioni, tra cui Domande. Da Samuel Beckett e il saggio Al giorno d’oggi. Sulla rassegnazione. Nel 2008 si ammala. Nel 2010 pubblica Poesie 1973-2008, che raccoglie tutte le opere poetiche e comprende le sezioni ultimate di nun. Nel 2011 vede la luce il saggio Biografie perdute. Muore nell’agosto dello stesso anno. Notizie e testi dell’autore sono accessibili consultando il sito web Archivio Giuliano Mesa.

 

 

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Da I LORO SCRITTI (Roma, Quasar 1992)

 

 

Da I - VENTI DESCRIZIONI SEMPLICI

 

 

1

le carte racchiuse in plichi, non riconsumate,
fossero rotoli neri e colla rappresa in rivoli,
sui segni neri e gusci salmastri,
polpe con odori e croste, fossero fogli legnosi,
ruvidi, non i segni infiniti, non consumati,
rimanendo dischiusi con lucori e tonfi,
le prossime luci chiare, e poi scure,
veglie, lunghe veglie immobili,
lunghi mattini, ancora molti, muti –

 

 

5

loro immolano a vanvera, testimoni, aggressioni,
racchiusi in cute sierosa, laccata,
sono molte parole, indimenticate, sono solerti
e fanno ressa, porgono sorbetti e cuscini,
volere acque dopo gli insulti, sistemi di rimedi,
preferire è il desiderio, i modi più pacati,
trascorrere, nei giorni, comprensivi –

 

 

9

le parole sono lontane, in fremiti,
gli oggetti già elencati, non si compiono
gli elenchi in suolo e pareti, le porte
non si aprono da un luogo ad un altro,
lo sguardo serve ancora per dimenticare,
ad ignorare, per fingere un luogo veduto,
e ascoltato, avendo guardato e detto,
la nostra abbondanza non è fertile –

 

 

13

le colline, ripari, e sotto fitte forme di oggetti,
margini ovunque, cantilene dei luoghi assegnati,
se di sera sperano un inverno veloce e memorabile,
gli altri affanni da aggiungere, dopo il pranzo ridendo,
ore della sorte, pertugi e litigi, fasti d’ernie,
boccali, palpiti, e giù nelle tane, il riposo –

 

 

19

da parole a parole, la mano è rimasta, tacendo,
sulla guancia, adagiata, i gonfiori e piccole croste,
non si fossero aperte, le loro mani,
lungo i muri ed i muschi, le chiocciole,
i pensieri raggiunti, e sfiniti,
complice la distanza delle voci,
come voci che verranno, che ora,
scivola nel fango la scarpina,
la prima idea della notte,
della sera che non rimane –

 

 

Da II - MINIMI

 

(da NON PER SOPPRIMERE)

 

 

1.3

pensa a candele e moncherini
e pochi metri da percorrere insieme
con l’artificio del moto contrario,
chiudi le ciglia su due righi di ruggine
per mostrare le spalle e dispiacere,
disparire, aprire con cura le asole.
Loro sono tornati. Raccogliti

 

(da DIDASCALIE - I)

 

 

2.4

è questa bruma limacciosa, che vedi,
la trascorsa ventura, sulla radura i nembi,
ardui calanchi, a lémbi.
Fatto di muco e cisti, di questa vita
e d’altre, tutto in poltiglia e calli,
finito

 

(da NOVE MACCHINE MORTE)

 

 

[…]
come una nova inquietudine
ispessita mota dilava
e sparge sentori di ansia
ognidove s’annunci feria
scrutata al calare del giorno
il nero vi pone a contorno
e fa figure da barlumi
roteando orbate orbite
tramuti le attese in rese
[…]

 

 

Da III - UNDICI E QUATTRO ARGOMENTI

 

(da UNDICI ARGOMENTI)

 

 

3

lui fa giornata verso il buio,
fra le liscive e il ranno, ansima cauto,
poi nulla, che brame si triturano, passo a passo,
che ansiose età, desolate e sature,
noi scomponiamo, sillabiamo, facciamo triti,
con le laringi le meningi, e fingi, certo,
il dolore, il duolo, e il dolo che vorresti subire,
burbero condisceso all’avvenire, sì

che il poco è meglio. Che il niente,
la gente, in risma, discende con te
ll prefigurato, per fare figure di idee
e ingannare i tempi, i morti e gli andati,
via, fumosi come bitumi caldi, svaporati,
sotto le cose, tante che trascorrono,
ed anche stanno, anche qui, gingillano
per noi succhiosi, nebbiosi, suppurati,
di tanto eccesso facciamo leva per trascendere
verso una lenta, inesumabile fine,
col nostro augurio solito e solerte,
con le mani aperte, spalancate: tante cose

 

(da QUATTRO ARGOMENTI)

 

 

2

per dire che vale. I suoni che diradano, sente
che si avvicina, foga polverosa, la commistione,
argine al folto, fra conservare e scindere,
i suoni che rimangono, lesti, levigati,
perché muti, in visione solerte, la minugia,
renda solvibile, la cupa vicenda degli scambi,
segno polito, tinnulo, immune custodia

che non fa scempio, del manufatto mansueto, sopisce,
placa la metamorfosi, il baratto nocente,
di latte, appena munto, di siero, col cristallo sonoro,
sotto il nevischio, la melma, le cellule essiccate,
faranno premio, non remora, alla stima degli anni
e dei dolori, per i giorni copiosi che verranno,
melismi forbiti, a caterve, eseguiti: per dire che vale

 

 

Da IV - TOPOGRAFIA INVERNALE, LACUNOSA

 

 

7

e poi le mani si posano sulle ginocchia,
gli occhi non guardano nulla,
la schiena si incurva un poco,
le palpebre, pian piano abbassate,
cercano di coincidere, di combaciare:
così è perfetto, è vero