Da "IL RUMORE DELL'ULTIMO T-REX" di Lorenzo Cianchi



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Lorenzo Cianchi è nato nel 1985. Laureato all’Accademia di Belle Arti di Carrara, nel 2008 riceve una borsa di studio per la Zokei University di Tokyo.
Nel 2012 si aggiudica il secondo posto nella sezione inediti del Premio Luzi, nel 2018 è segnalato al Premio Teglio.
Dal 2010 ha lavorato all’interno del Centro “I Macelli di Certaldo” (FI) per la ricerca sul teatro e la danza contemporanea.
Nel 2014 ha fondato il collettivo di design “Rio Grande” con Francesco Valtolina e Natascia Fenoglio.
Lavora da alcuni anni in collaborazione con numerosi artisti di arte visiva e performativa.
Nel 2018 è stata pubblicata – per i tipi di Arcipelago itaca – Iodio, la sua opera prima in versi. Del maggio 2021 è Il rumore dell’ultimo T-Rex (Taut Editori).

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Da Il rumore dell’ultimo T-Rex

 

 

 

La bestia immonda
che doveva essere il T-Rex
la peggiore tra quelle mai apparse
io la sento familiare
come un parente iracondo
che sbotta per i pranzi di Natale
che russa sul divano
spossato dalle pietanze
e guardo questi rantoli
di animale sedato
e realizzo solo adesso
con quanta violenza
è intessuta
la nostra maglia del discernere.

 

 

Augurale
momento lento
e sconnessa
frange la pioggia sulla cassa
domani sarebbe stato meglio
ma è oggi e accade e tutto è più
ruvido, più maestoso
più teatrale.
la cerimonia spartisce
il tempo tra un tempo anteriore
e uno più puntuale.

 

 

Non c’è un cielo
rassicurante qui
ma questa mattina c’è
un’alba che fabbrica

 

 

Non puoi vedere
la radice che si scurisce
non puoi toccare
il legno che si fa carbone
il discreto contegno
dell’esperienza
si nasconde profondo
ha tempi lentissimi
o di fulmine
che non potranno mai fare notizia
il sacro matura
nel capillare permearsi dei regni.

 

 

Al bordo della collina
con il cucchiaio
segno il limite
dove c’è l’orizzonte
di sopra gli aerei e chi non soffre
di sotto le case e chi cammina
e poi tu
dentro la casa
nella beata quiete di
questa ecatombe.

 

 

Secco di arido
arso di secco
ho fatto la doccia
con i miei miraggi
nominando
le mie perdite
imminenti
coperte di fatti.

 

 

Solo poche foglie
diventano
puntuali indicatori
di rosso
sbandate notturne
sbiancano
con il diventare mattina
si fonde il metallo
e scivola per gravità
nella pelle della muta

colpevoli trotterelliamo
nella terra piatto.

 

 

In pochi hanno aperto le finestre
o spaccano la porta
che galera avere un’immagine metafora
a cui non credere affatto.

 

 

Ti atterro
come nel rugby

l’amore ha un peso
leggero di sabato
mattina

 

 

Nella tempesta al neon di questa notte
i nostri vestiti volano al rompere del vento.
Noi di dentro proviamo a raccontarci stando
a terra con la nostra logica
di tasche zavorra.

 

 

Ho sognato di incontrare
un branco di lupe
ridotto a brandelli
mi trascinano nella tana
di foglie gialle di quercia
mi leccano il sangue
come se fossi
d’avorio
mi sveglio
con la gola
con nessuna parola
di dentro.

 

 

Il desiderio
mi spacca per la lunga
di netto
ferisce dalla crosta
al midollo
raccattale tu
le due falde
riverse
usa la saliva come colla
e con le dita
richiudile
a far scomparire
il taglio.