Da "LA FIGLIA CHE NON PIANGE" di Francesco Scarabicchi

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Francesco Scarabicchi è nato nel 1951 ad Ancona, dove è scomparso lo scorso 22 aprile.
Tra i molti lavori in poesia dati alle stampe, si ricordano soprattutto:
  • La porta murata (con introduzione di Franco Scataglini, Residenza 1982);
  • Il viale d’inverno (l’Obliquo 1989);
  • Il prato bianco (l’Obliquo 1997; Einaudi 2017);
  • Il cancello 1980 - 1999 (peQuod 2001);
  • L’esperienza della neve (Donzelli 2003);
  • Il segreto (l’Obliquo 2007);
  • Frammenti dei dodici mesi (con quattordici immagini di Giorgio Cutini, l’Obliquo 2010);
  • L’ora felice (Donzelli 2010);
  • Nevicata (con venticinque acqueforti di Nicola Montanari (Liberilibri 2013);
  • con ogni mio saper e diligentia - Stanze per Lorenzo Lotto (Liberilibri 2013);
  • Non domandarmi nulla (traduzioni da Machado e Garcia Lorca - Marcos y Marcos 2015).

Postumo è appena uscito, per Einaudi, La figlia che non piange.

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«Scarabicchi è morto nell’aprile del 2021 e questo libro esce purtroppo postumo. È uno dei suoi più belli, senz’altro il più commovente. Queste sue ultime poesie vanno alla ricerca dei sogni, delle cose, delle idee avute e scomparse nel corso degli anni (Si decida il contabile del tempo / a restituirci gli anni non vissuti). Con uno sguardo al mondo che andrà avanti, alle generazioni che, come sempre, si succedono alle precedenti.
Il lirismo sommesso ed essenziale tipico del poeta marchigiano è qui al servizio di un libro testamentario in cui il poeta fa pacatamente i conti con la fine della vita, avvertita come ormai imminente. Senza mai indulgere al pathos, attenendosi a quella sobrietà linguistica, a quel “monachesimo lessicale”, come scrisse Enrico Testa, che chi ha letto Il prato bianco e gli altri suoi non numerosi libri ha imparato a interpretare come indicazione etica non meno che come scelta».

Dalla quarta di copertina

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Da La figlia che non piange

 

 

Una residenza

                                                                                                               a Massimo Recalcati

Non c’è altro luogo, credimi, che questo,
tutto il bianco possibile, la pagina
e poi quelle formiche delle righe
a dire il poco, il molto che noi siamo,
ma non tanto di me e del passato
quando era l’unico presente che avevamo,
non tanto di una vita dice la scrittura,
ma di quel niente in cui te la riduce
e l’illusione precaria d’ogni verso
credendo di salvarlo almeno in parte
quel lucente frammento tolto al buio,
quell’oro di granelli che si perde,
quel segreto mistero inesistente.

 

 

Da 1990

 

 

Prologo

Si decida il contabile del tempo
a restituirci gli anni non vissuti,
tutti i sogni, le cose, i persi sguardi,
le idee che vanno, veloci, a scomparire.
Che si decida presto a rimborsare
quanto ognuno ha mancato,
smarrendo dell’amore il caro nome.

 

 

Da Lettere dall’esilio

 

 

Sarò puntuale quando sarai notte

Sarò puntuale quando sarai notte,
starò dalla tua parte a ravvisarti
gli anni di molte insonnie e passi calmi.
Avrò quel viso che non so di avere,
dirò parole appena per fermarti
sull’unico confine che scompare.

 

 

Ti guarderò da questa vita attesa

Ti guarderò da questa vita attesa,
da una fermata d’autobus, da un destino
che mi tiene lontano e sai che sono
più vicino che mai alla tua resa,
occhi che non si sporgono e non danno
luce che a chi la chiede,
sguardi che vanno dove tutto è niente,
a una finestra d’angolo, ad un cielo
di musiche e di voci tutto intorno.

 

 

Da Dediche

 

 

                                                                                                                        a Gabriele Zani

Cos’era Gabriele, quella luce
che Ferruccio portava nei suoi occhi,
il segno involontario che decide
se sia quello il confine o altra terra?
Ancora la ricordo come adesso,
un dopocena al gelo di febbraio,
parole che s’accendono improvvise,
alcune ferme, come stelle fisse,
ma la luce, la luce che gli ardeva
oltre Viale dei Mille, oltre lo sguardo –
come in un’aria persa, come il niente –  
cos’era, mi domando dopo tanto, e con chi
l’ha seguita a scomparire?

 

 

Da Frammenti dei giorni, dei mesi e delle stagioni

 

 

Dies Lunae

Luna di lume bianco e di veloce passo,
Ultima soglia d’alba in cenere,
Niente che si rinnova di splendore
E al rapido eclissarsi degli istanti
Declina come il sole al limitare,
Isola che confina con l’azzurro.

«L’invincibile sonno del mattino».

 

 

Settembre

Mese del transito e della doppia luce,
estate che in segreto si fa autunno,

ponte del chiaro giorno e della sera,
malinconia dei passi e del restare.

 

 

Autunno

È una quieta bellezza a dominare
l’intero mondo, i campi, le colline.

«Cadono ai piedi dell’incanto foglie».

 

 

Da Album 1980

 

 

1962

L’immagine del profilo del naso di mio padre allungato nella cassa in un giorno non piovoso del 1962 e la voce del salesiano che parla di un tempo celeste mentre penso alle scarpe che mio padre porta ai piedi e ai suoi mocassini rimasti chiusi dietro lo sportelletto del comodino nella stanza da letto, troppo grandi perché possa usarli io e quindi perduti anch’essi, lasciati a non so quale destino dopo di lui.