Da "LE DESCRIZIONI IN ATTO - (1963/1973)" di Roberto Roversi

 

 

 

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Roberto Roversi è nato nel 1923  a Bologna, dove è scomparso nel 2012.
È stato scrittore, poeta, giornalista e libraio, oltreché, in gioventù, partigiano. Tra il 1948 ed il 2006 ha gestito la libreria “Palmaverde” di Bologna. Ha fondato e diretto le riviste “Officina” (insieme a Francesco Leonetti e a Pier Paolo Pasolini) e, successivamente, “Rendiconti”. Alcuni suoi versi sono diventati testi di canzoni messe in musica ed eseguite da Lucio Dalla, con il quale ha realizzato tre album ed uno spettacolo teatrale, e dagli Stadio. È stato anche direttore del quotidiano “Lotta continua”.

 

 

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Da LE DESCRIZIONI IN ATTO - (1963/1973)
I quaderni de Lo spartivento, n. 1, 1 maggio 1990

 

 

PRIMA DESCRIZIONE IN ATTO

 

Ritorneranno i tempi (duri)
piangeranno contro i muri le madri
aspettando il ritorno dei figli.
Questo tempo che ha uomini di così debole fiele.
La presunzione li fa ritenere superbi
grandi (leggere le gazzette)
ma api al miele
corrono ai peccati di sempre
non c’è nulla che li trattenga.
Parole di ammonimento
sono spazzate dal vento via.
Cederemo ancora una volta alla morte.
È fango la volontà di riscatto.
I ramarri escono dalle crepe.
Spezzate statue.
Lacrime nel buio.
 
Volgendosi intorno egli vede
crede di intendere e sapere
forse qualcosa più di un altro, ma sotto
la razionale immobilità della misura (dell’ordine apparente)
lo scaltro è in attesa,
il mugolio di quel canto ha il sapore di un tuono;
striscia il topo
sul cornicione di marmo
– poco fa tre ragazzi in fila
si indicavano una donna,
ibrida smorta era al riverbero della colonna.
Nelle case dei poeti questa è l’ora del tè.
Lo scirocco spezza i tegoli e
l’occhio del piccione è succhiato
dallo spiraglio del sole
mentre in pigiama una ragazza magra
si dondola nel vano della finestra
dentro le aiuole delle alpi al lontano
rumore della foresta
– traluce oltre misura il rosso dei capelli,
le efelidi leggere, pule di grano, i
giovani anni sul viso. Intanto in quest’ora
i doganieri indossano la tuta sul lago di Como
mentre un uomo ansima solo, suda
all’ombra del Monviso e
se non corre sarà presto morto
nella sua carne nuda.

 

SECONDA DESCRIZIONE IN ATTO
 
I.

Il colore dei sassi fra i binari
di ruggine sfibrata, colorati di stanca
ruggine, il colore è denso di polvere, sporco
di polvere, sporco di pioggia, di lacrime,
il colore biondo dei sassi allineati,
sono sprofondati nella terra, levigati.
L’edera si morde irta le fibre.
Alla televisione Non è mai troppo tardi –
uno squillo la voce belluina, ridente:
questo mondo che tendeva dal profondo
a contemplare (le regole del giorno sono
la luce gialla, la Farben rosso sangue dipinta nel cielo)
in Grecia
dunque lavoravano gli schiavi, gli stranieri
lavoravano; non lavoravano i greci,
l’uomo libero mai.
La vecchia col cappello piumato
cerca il suo uomo dalle scarpe di corda, vecchio
“non sarà successo qualcosa?”,
le cassette alla porta dell’ingresso,
uno stabilimento di vetro luccica e vibra, vuoto.
 
“Sie schreiben gegen Deutschland”,
tre studenti partono con la valigia,
una donna anziana stringe le mani al figlio,
“rauchen verboten” e i sassi si rivoltano
tenui nel sussulto al sole
dilagante sopra le vecchie mura.
Questa è la solitudine. È la paura
indefinita, dura,
di restare per sempre conficcati al suolo;
d’essere solo, ignorato ignorante ignoto;
di sbiadire dentro a un’ombra
nel vuoto respiro del tempo, per sempre.
 
II.

Tenera, tenera, tenera è la notte adesso;
cedere ai neri presentimenti fra i neri
sassi, chiedere aiuto.
I vecchi maestri hanno insegnato a mentire;
a tradire; hanno offerto veleno alla fame.
Spezzavi il pane e morivi. Li vedi
oggi, dentro a questi giorni di pece,
in lizza spingere i giovani agnelli
così teneri e sciocchi, così belli
inutili, così perversi e torbidi,
al macello. Per dispersi sentieri.
Spingerli ai vecchi amori.
Alle spalle giacciono insepolti e
bianchi, ancora bianchi gli scheletri dei soldati.
Ma essi? barattano le noci,
battono le mani, aizzano le cagne.
 
III.

Cala l’afa della città, sbianca
nella livida sera alle finestre spalancate.
C’è la luce di un aprile precoce
con la voce di uomini che consumano
in una camera l’ultima allegria
prima di notte (forse è tutto un gioco).
Trema un poco egli aspettando ed è solo
come mai in questi ultimi anni.
Rapido il passaggio (come da una strada alla strada)
dal dolore che morde alla forza che cede
a se stessa e dà un lume ai pensieri.
C’è un’altra aria in quest’ora di sole
ormai concluso; aspetta un treno
e mentre anche il coraggio (sembra) viene meno
guarda i sassi della stazione gialli neri
e vetrate lontane –
aspettando dopo mesi di tornare
scuoia la volpe dei pensieri
con una amarezza che si rivolta
in dure staffilate.
Gli gettarono a volte contro tutti i sassi
senza ferirlo.
Passano gli anni, arriveremo noi pure
a dare una voce a questa dura tristezza.
 
 
TERZA DESCRIZIONE IN ATTO
 
Non basta (o non serve ancora) aprire Lenin a pag. 225 e
leggere
l’ordine della rivoluzione
“questo stadio superiore delle esplosioni
popolari, caotiche, spontanee”.
Non basta mischiare Dobb e job,
farneticare a volte in una ridda di nominate persone
odi fatti dell’intelligenza.
Certo per alcuni c’è lì una lucida evidenza
(anche se sotto è il vuoto).
Struttura, prevalenza della letteratura
sulla cultura, ideologia ma non politica
– “che è sta’ dannata politica” dicono
e chiedono “siate seri vi prego,
se siete poeti scrivete poesie:
per carità, è forse poesia la vostra?
Un consiglio? tacete!
Non basta ripetere l’invettiva di Sartre
à l’origine de tout, il y a d’abord le refus
per farvi uomini. Siete senza respiro,
ottusi, oscuri, trivellati
dalle avverse vicende”.
Il cielo si accende sopra i coppi
tutta la città è un polverone di fiamma
la sera è solo un sentimento di volo notturno
un mantello aperto nel freddo
su doline lontane.
“In questo tramonto vedremo i colli veneti”
alle finestre comari silenziose.
La vicenda della vita, si diceva.
“Ma certo, amico mio, a voi manca
una qualifica: chi siete? intendo
un lavoro preciso, scrivete?
ah, no? scusate; ma scrivete
qualcosa, comunque? non scrivete?
e sempre quella penna in mano? Capisco.
Ad ogni modo, scusate, me ne infischio
e non m’impegno, per voi.
Siete in salute e giovane (vi invidio)”.

 

Non basta dire che la vita è cattiva
né caricarsi di odio per odiare,
non basta possedere per volere;
spesso il male che dura e ancora insiste
resiste perché non fu consumato,
e noi non fummo così tristi o saggi
o previdenti da soffrirlo ancora.
La nostra forza è vile.
Così le costumanze scipite, così le voci
che feriscono, così la scialba euforia
di questo monumento di sassi.
Basta una mano alle volte per chiudere
un’altra mano e correre correre lontano.
Si deve ricominciare da capo.

 

QUARTA DESCRIZIONE IN ATTO
 
Quando i contadini toccano il fucile.
Sprizzando bagliori di fiamma
sulle nostre parifiche intese
il fumo dei toscani
si mescola, finalmente, alla polvere dei sassi che sbalzano.
Quando.
Non è che restituzione fatta con misericordia.
 
Una giovane donna.
Con lei può la vita godersi.
La coscienza è un pugno di terra è ombra;
i ricordi allineati nelle giuste caselle
non fanno rumore.
A volte se consideriamo
come tranquilla invece che feroce la vita
felice anche nelle giornate
appena un poco appassite, giorni d’ottobre
in un colore…
Tremano le foglie se cresce alla sera
il vento che ha un nome strano,
luci alla finestra presto si spengono e cala
la nebbia
 
ecco che il vecchio dolore ritorna
quando si ascolta che mani afferrano il fucile,
e uomini e donne si radunano di notte (voci)
e le strade si riempiono in quel deserto
che è la paura o l’agguato,
quando l’odio brucia
come i bidoni di benzina
e nessuno aiuta, anche oggi, che temono
la partecipazione come una debolezza
romantica e un poco infetta.
È un’altra la questione.
Noi con le mani macchiate
possiamo solo rivoltarci la pelle,
Questo è possibile.
Gli altri ci additano a un modesto ludibrio,
con pace delle nostre famiglie.
Possiamo prendere valigie e partire;
o possiamo considerare la situazione;
in noi o tuttavia manifesta
la volontà di non lasciarci morire per riposare,
e il dito puntato…
Quando…
 
Queste impossibili ragnatele di rapporti,
le persuasive parvenze
che si esauriscono in un contatto in una parola
e accentuano il distacco
che ognuno di noi ha.
Essere vicini stretti al braccio
o rovesciati sul petto
di Fanon o Nizan –
non dimenticateli i morti.
Quando.
 
Quando scoppiano i fucili
i passeri volano.
[…]