Da "LE MIE POESIE NON CAMBIERANNO IL MONDO" di Patrizia Cavalli

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Patrizia Cavalli, nata a Todi nel 1947 e scomparsa a Roma lo scorso 21 giugno, dal suo esordio con Le mie poesie non cambieranno il mondo, nel 1974, ha poi dato alle stampe Il cielo (1981), L’io singolare proprio mio (1992) – tre opere riunite poi, sempre nel 1992, in Poesie (1974-1992) – e ancora Sempre aperto teatro (1999. Premio Viareggio Rèpaci), La guardiana (2005), Pigre divinità e pigra sorte (2006. Premio Dessì), Datura (2013) Vita meravigliosa (2020).
Con passi giapponesi (2019. Premio Campiello, selezione Giuria dei Letterati) è stata la sua unica prova in narrativa.
Ha tradotto Anfitrione di Molière e il Sogno di una notte d'estate di Shakespeare; di questo stesso autore ha inoltre tradotto Otello, messo in scena dal regista e attore Arturo Cirillo nel 2009.
Le opere in questa breve bio-bibliografia indicate sono state tutte pubblicate per Einaudi.

 

 

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Da Le mie poesie non cambieranno il mondo

 

 

Qualcuno mi ha detto
che certo le mie poesie
non cambieranno il mondo.

Io rispondo che certo sì
le mie poesie
non cambieranno il mondo.

 

 

Le note che disegnasti sul mio quaderno
e la chiave di violino e la doppia chiave
e la tripla chiave. Sempre per te
un nuovo quaderno. Di quanti fogli
hai bisogno? Hai intarsiato la mia scrivania
scolpito il mio scaffale; ma ora non più
arcieri in costume da guerra, soltanto
segni distratti. E dovrai raccogliere
con pazienza piccoli minuti perché tu possa
comporre un’ora.

 

 

Sentirsi dire che la vita è crudele
è proprio una cosa da marciapiede.

 

 

Si può sedere ed aspettare
che le strade si sgonfino.
Poi camminare tra gli altri
studiando un motivo per farlo.
Ieri fu quello di dover mangiare,
pizza supplì e un tavolo a muro
uno specchio discreto davanti.
Consumai tutti i salviettini
li consumai tutti precipitai
nell’unto. Protraendo le necessità
rubavo cinque minuti con una sigaretta.

 

 

Ma era proprio mia
quella voce che usciva
senza fantasia?
 

 

 

Ma prima bisogna liberarsi
dall’avarizia esatta che ci produce,
che me produce seduta
nell’angolo di un bar
ad aspettare con passione impiegatizia
il momento preciso nel quale
il focarello azzurro degli occhi
opposti degli occhi acclimatati
al rischio, calcolata la traiettoria,
pretenderà un rossore
dal mio viso. E un rossore otterrà.

 

 

Poco di me ricordo
io che a me sempre ho pensato.
Mi scompaio come l’oggetto
troppo a lungo guardato.
ritornerò a dire
la mia luminosa scomparsa.