Da "L'ESPERIENZA DELLA NEVE" di Francesco Scarabicchi. Con un testo di Danilo Mandolini

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Francesco Scarabicchi è nato nel 1951 ad Ancona, dove è scomparso lo scorso 22 aprile.
Tra i molti lavori in poesia dati alle stampe, si ricordano soprattutto:

  • La porta murata (con introduzione di Franco Scataglini, Residenza 1982);
  • Il viale d’inverno (l’Obliquo 1989);
  • Il prato bianco (l’Obliquo 1997);
  • Il cancello 1980 - 1999 (peQuod 2001);
  • L’esperienza della neve (Donzelli 2003);
  • Il segreto (l’Obliquo 2007);
  • Frammenti dei dodici mesi (con quattordici immagini di Giorgio Cutini, l’Obliquo 2010);
  • L’ora felice (Donzelli 2010);
  • Nevicata (con venticinque acqueforti di Nicola Montanari (Liberilibri 2013);
  • con ogni mio saper e diligentia - Stanze per Lorenzo Lotto (Liberilibri 2013);
  • Non domandarmi nulla (traduzioni da Machado e Garcia Lorca, Marcos y Marcos 2015).

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    L’ho scritto anche a Liana, Francesco, che le parole, quelle “giuste”, per dire di te che non ci sei più non le troverò mai. Ho tanti bei ricordi del tempo trascorso con te, Francesco: le volte che siamo andati da Giorgio, a Brescia, le cene e i pranzi insieme, le passeggiate al Passetto e negli altri luoghi della tua Ancona, le telefonate, le chiacchierate nel tuo studio.
    Dallo scorso 22 aprile, però, Francesco, ogni volta che ti penso – e ciò accade spesso –, non faccio altro che provare la stessa immensa fitta al cuore che ho provato tutte le volte che ti ho incontrato negli ultimi anni; le volte in cui, insieme a te, ho incontrato anche la tua malattia.
    Il dolore è ancora troppo forte.
    Il dolore è davvero ancora troppo forte.
    Il dolore di averti visto chiuso in quella dimora provvisoria di legno, poi, il sabato successivo alla tua scomparsa è qualcosa di indicibile, per me.
    Ti voglio ora ricordare, semplicemente, con alcuni tuoi versi da L’esperienza della neve, quel tuo lavoro di cui tanto abbiamo parlato e che tante soddisfazioni ti ha dato.


    Ciao Francesco.


    Mi manchi, mi mancherai sempre.


    Danilo


    P.S. (due versi che ho nel frattempo scritto pensando a te)


    E il silenzio viene come
    il verde del grano a maggio.


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    Da L’ESPERIENZA DELLA NEVE

     

     


    Gennaio


    «Luce dell’ora chiara,
    nel silenzio dell’anno,


    sulla porta».


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    Da Melma e male

     


    Dolore e notte


    «Passeranno lontano nere navi,
    lente su quel confine d’orizzonte


    come minacce che non fanno male
    a guidare la morte nel silenzio


    in terre più distanti della luna
    dove il sangue rapprende come il miele,


    polvere di paura e un urlo solo
    che trafigge di sé dolore e notte».


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    Da La luce che non c’era

     


    Giacomo


    Una bella carrozzina color dell’aria […]
    Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio


    Egli è nato
    nell’ora
    di giugno
    meridiana


    nel chiarore
    che dona
    alla luce
    la luce
    che non c’era.


    *


    La salita


    «Scegli per abitudine la vita,
    la felice vacanza che non dura,


    comunque vada e sia, nome del mese
    che più biondo fa il grano e fine l’aria,


    illumina ragazze senza peso
    e coniuga le notti come un verbo.


    Porta i tuoi anni nomadi, conquista
    la libertà del niente, un pugno vuoto


    a quel sole che alto non si spegne,
    fuoco rosso e geranio, mia sinistra


    dalla parte del cuore, la salita
    che più ripida è e più discende


    verso le rive della pena antica
    dove la storia sceglie i suoi sentieri


    a togliere ogni volta ciò che rende».


    *


    Ai vetri a visitarmi


    «A un tratto se ne vanno via leggere
    isole della pena quando è notte.


    Nomi un poco s’affollano nel buio
    come se s’assiepassero d’attorno.


    tornano spesso ai vetri a visitarmi
    la paura del nero e quelle voci


    mute come le nubi di novembre.
    Qui non sono e non sai se scenda piano


    la luce della luna a illuminare
    la stanza che non vedo e che conosco


    dove c’è il tuo respiro che non manca,
    scarpe, cappelli, abiti da viaggio,


    libri, quadri ritratti e il tavolino
    d’una lontana madre di tuo padre


    che s’è persa d’estate chissà dove».


    * *


    Da Le cose

     


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    I vivi si sostituiscono ai vivi, le case hanno finestre e porte, la pioggia cade e bagna, per camminare ci vogliono le scarpe. Ciascuno ha un nome, i nomi tornano, si cambiano, le frasi sono sempre le stesse, il pane tagliato, i bambini, gli adulti, i morti, la cenere. Nessuno rammenta nessuno. Resistono gli oggetti. Una bottiglia più di una mela. La memoria si lega alle nature morte. Solo ciò che è concreto sopravvive: lo scheletro, un anello, i denti. Gli occhiali di tartaruga rimasti nella custodia sul comodino la notte in cui si è spenta. La coroncina del rosario fatta con i gusci delle noci, il ditale che portava nella tasca del grembiule, la spilla a balia, un pettinino rosso. Di tutti i suoi novantuno anni, solo una scatola di oggetti, un centrino ricamato con le iniziali AT, un uovo di legno per rammendare le calze.


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    Da L’esperienza della neve

     


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    Dura,
    finché resiste
    il ricordo degli occhi,
    poi annerisce
    dimenticando, insieme,
    azzurro e notte.