Da "MACELLO" di Ivano Ferrari
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Ivano Ferrari è nato a Mantova nel 1948.
Ha lavorato nel mattatoio cittadino e per il Palazzo Te.
Ha esordito nel 1986 con A forma d’errore (Forum); suoi versi sono stati inseriti nell’antologia Nuovi poeti italiani 4 (Einaudi 1995).
Sempre con Einaudi ha poi pubblicato le raccolte La franca sostanza del degrado (1999), Macello (2004) e La morte moglie (2013 - Premio “Giovanni Pascoli” 2014). Un altro suo libro di poesie, Rosso epistassi, è stato pubblicato da Effigie nel 2008.
È morto nella sua città natale il 28 aprile del 2022.
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Da MACELLO (Einaudi 2004)
Lo stanzino in fondo allo spogliatoio
è detto delle seghe
affisse a tre pareti foto di donne
dalla vagina glabra
nell’altra il manifesto di una vacca
che svela con differenti colori
i suoi tagli prelibati.
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Dove nasconderà le lacrime?
Se la domanda pende sul cranio
sfondato di un puledro
sfumo affannando versi
subendo animali e cose.
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La carne morta rivive
nella sua grande miseria
col vento che riporta gli odori
ad un ordine sparso.
La carne morta è ricamata
da quelle sinuose presenze
che gli altri chiamano larve.
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È fuggito un toro nero
erra sul cavalcavia
impaurendo il traffico,
lo ricorriamo
impugnando coltelli
bastoni elettrici e birre
corre si ferma torna
arrivano i carabinieri coi mitra,
ora è steso su un velo d’erba
e sussurra qualcosa alle mosche.
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Oggi la morte è materna
vitellini impestati dall’afta
le corrono incontro affettuosi.
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Quando hanno tolto la luce
la morte si è ricomposta
per apparire subito dopo
più nitida, più vergine.
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Nella stanza d’attesa
un vitellone chiazzato
e una tornita mansarda
avranno ancora la notte
per annusarsi promesse
da domani eterne.
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Dalla vasca d’acqua bollente
emerge un enorme maiale
bianco come uno spettro
che oscilla impudico fino a quando
dal finestrone il sole
accende quintali di luce.
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A qualche centinaio di metri
passata la forma fresca del prato
e dopo case dagli occhi spenti
si trova il cimitero degli umani
dove c’è carne che non sfama.
*
È venerdì santo ma senza
la primaverile viandanza,
già prodiga di resurrezioni
il sangue ancora ghiaccia
riempiendo i fiati di bagliori
e le bestie sono troppo pesanti
per scendere dalla croce.
*
Qualcuno si chiede se io ami
se durante il giorno cerco
o risolvo, se almeno vedo.
Quando guardano le mie labbra
o le mie mani
e più maliziosamente giù, fra le cosce
sento sul corpo le domande
che mi attraversano
come una forca farebbe con la paglia.
Se faccio sanguinare il vento
se trasformo le foglie fredde
in involtini di carne,
se i cavalli bianchi del mio rinascimento
sono esposti sul bancone di una macelleria
non rinuncia alla mia umanità come voi del resto.
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Per i problemi dell’anima
la sala stoccaggio:
coi quarti e le mezzene senza sangue
i cartellini del sesso
l’etichetta di destinazione
la delazione cosciente della bilancia.
Ci si confessa pestando reni di scarto
schegge d’ossa e strati di grasso.
Più liberi, dopo, divoriamo
fettine di carne cruda (dei quarti più belli)
appena un po’ di sale
e tanta devozione.