Da "MUSICA REALE". Inediti di Lorenzo Fava

 
 

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Lorenzo Fava, nato ad Ancona il 12 giugno del 1994, vive a Macerata dove collabora con «Il Resto del Carlino».
È laureato in lettere con una tesi sull’opera poetica di Silvia Bre.
Ha pubblicato Lei siete voi (LietoColle 2019) e Vile ed enorme (Arcipelago itaca 2022).
Sue note di lettura e traduzioni sono apparse su vari portali online.
 
 

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Da MUSICA REALE. Inediti di Lorenzo Fava
 
 

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Io non ce la faccio a relegare
le cose al passato, a chiuderle
dietro una porta e non aprirla
finché di noi non sarà altro.

Parlavo col diacono
nella navata vuota, quanto è lontano
il tempo che dico! Sto bene
o mi sono abbandonato?

Musica, prendi il vertice del cielo,
fanne il centro del pronome; sulla Terra
voleremo senza ali, sul precipizio
alzeremo a te gli occhi, cometa
che perdura, volto.

 

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In questo sonno profondo, cerco una parola
che le salvi tutte. (Solo perché immaginato
significa sia meno o non sia affatto?)
Evito i pettegolezzi di paese, fedele ad un patto solamente.
Mi muove sotto la tempesta una quiete,
mia madre dice che è da vecchi pensare la morte.
Ma io, in questo sogno che tengo e con me cambia,
vedo una scena di primavera; che si dica
vinto il dolore, ed un equilibrio scuota la mia veglia.

 

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                                                                                                            a Gabriele Galloni

Non sapevamo già prima che l’assenza
ha un potere immenso, più alto del cielo,
di gran lunga superiore ad ogni forma
di saluto? Potevamo immaginarlo
che l’altrove è qui ed in ogni luogo?
Difficile da credere, ma non vedere
è davvero il distacco più profondo,
la distanza che consegna alla leggenda?
Tu che ora sai la misura del totale,
l’equità perfetta del tempo, la materia
di ogni gesto e l’equazione della luce:
come è varcare la linea? Ci si può voltare?
Non dà tregua qui saperti in ogni ora.
Il mio ricordo è cosa degna? La parola
salva e annienta, immaginiamo.
Lo sai: dicci quanto il passo dista,
e che l’ala degli angeli compaia.
Il bisogno della memoria è il più
antico, per quel che ne sappia
ogni mortale, serve a realizzare
l’interezza, una vita passa, il canto
perdura tutti gli esiti, ma quanto costa
ammettere che un corpo può sfasciarsi,
e che la realtà è il più duro dei sogni!

 

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Dice hai paura di tradire te stesso
ma io mi tradisco ogni volta
che la destra lava la sinistra
o torco il pollice sul palmo aperto,
continuo a dire io non per farfuglia
o germinazione casuale,
dovrei asserire definitivamente no,
c’è un ammanco, una colata
che non empie, un gergo che non muta,
una mira sbagliata assieme
all’inevitabile consegna disattesa,
penso questo, che non avrà termine
la pena senza origine, mi vivrà oltre
come fosse una metafora.

 

*

Mi apri i pori di carezze,
ti lasci in prossimità del mio respiro
e mi incanali il tuo essere nel corpo –
mi svuoti dell’interno, compi
la potenza in un appunto
nel locale notturno,
il tessuto del vestito tanto fino
da toccare quasi –
educo il gesto a ripetere il tiro,
talento, mio quarto ricordo
che leviti qui come piombo fuso.

 

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Mentre compie quel gesto è perfetta,
il lembo del lenzuolo raccolto
sulla sua spalla scoperta, una gioia.
Mi riassumo aderente alla pelle che vesto,
incautamente ho sfiorato la bellezza,
lei mi ha preso come fossi pezzo suo.

 

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Prendi una lastra e passala su un fianco
finché l’attrito delle sue punte ti avrà
aperto un taglio

che quel dolore scoperchi
una formazione emotiva di picchi
limiti di sopportazione ricalibrati

così meglio ricorderò il tuo viso
acceso nella primavera prima che la vita
subissasse il primo rivolo

in una cascata.