Da "TUTTE LE POESIE" di Antonella Anedda. Versi scelti e sparsi
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Antonella Anedda (Roma, 1955) ha insegnato nella scuola e collabora con diversi atenei. Tra le opere in poesia si ricordano soprattutto: Residenze invernali (1992); Nomi distanti (1998, 2005, 2020); Notti di pace occidentale (1999); Il catalogo della gioia (2003); Dal balcone del corpo (2007); Salva con nome (2012); Historiae (2019); Geografie (2021).
Si è occupata anche di critica e di traduzione.
Nel 2023 è uscito, per Garzanti, Tutte le poesie.
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Da TUTTE LE POESIE di Antonella Anedda (Garzanti 2023)
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Da Residenze invernali
Le nostre anime dovrebbero dormire
come dormono i corpi sottili
stare tra le lenzuola come un foglio
i capelli dietro le orecchie
le orecchie aperte
capaci di ascoltare. Carne
appuntita e fragile, cava
nel buio della stanza. Osso lieve.
Così la membrana stringe
la piuma alla spalla dell’angelo.
Trasparenti sono le orecchie dei malati
dello stesso colore dei vetri
eppure ugualmente sentono
il rullio dei letti
spostati dalle braccia dei vivi.
Alle quattro, nei giorni di festa
hanno fine le visite. Lentamente
le fronti si voltano verso le pareti.
Nei corridoi vuoti scende una pace d’acquario.
Luci azzurre in alto e in basso
sulla cima delle porte
sul bordo degli scalini.
Luci notturne.
I malati dormono gli uni
vicini agli altri posati
su letti uguali.
Solo diverso è il modo
di piegare le ginocchia
se le ginocchia
possono piegare, diversa
l’onda delle loro coperte.
Pochi riescono ad alzarsi sulla schiena
come nelle malattie di casa
e ogni letto ha grandi ruote di metallo dentato
molle che di scatto
serrano il materasso
o di colpo lo innalzano.
Il letto stride, si placa.
Luci di Natale.
La corsia è una pianura con impercettibili tumuli.
Con quali silenziosi inchini s’incontrano i pensieri dei morti.
Luci d’inverno.
Nella sala degli infermieri luccicano carte di stagnola
l’odore del vino sale nell’aria.
Se i vivi accostassero il viso ai vetri appannati
se allungassero appena le lingue
il vapore saprebbe di vino.
C’è un attimo prima della morte
la notte gira come una chiave.
Quali misteriosi cenni fanno i lampioni ai moribondi,
quante ombre lasciano i corpi.
Le dieci. Sulla tovaglia una pentola
con un coniglio rovesciato di lato
patate bollite, asparagi passati in casseruola.
Nella stanza regna una solenne miseria.
I vivi si chiamano come da barche lontane.
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Da Il catalogo della gioia
11 settembre 2001
Seguo la scia di luce dentro i mesi, nella cripta autunnale
ascolto la prima pioggia sulle grondaie.
Settembre – dice il calendario a metà consumato con figure
d’insetti sopra i fogli. Quasi ottobre anticipano i gusci di
lumaca uno per ogni giorno a disdire con la lentezza la paura.
Loda queste creature di terra, il volo breve, la mano paziente che
disegna: contro il fuoco, contro il cielo celeste della fede.
In basso, nell’orto, la raggiante architettura dei lombrichi, un
velo di formiche sotto il melo. Mi inchino al fango, ai moscerini
alla lumaca, alla fatica con cui mi sale sulle dita.
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Da Dal balcone del corpo
Paesaggio
Mi avvicinai a un ramo carico di neve
dove uno dei corvi piegava sotto le zampe il legno.
Diventai quel dondolio di grigio e nero.
E quel diverso verde (misto di salvia e gelo)
che avanzava con un tocco di livore sulle nubi.
Vidi me stessa dentro quel purgatorio.
Tutto era paesaggio. La rabbia: un tumulo.
L’incertezza – a mucchi: una collina.
Il disamore: alberi con ombre intirizzite.
«Osserva» disse l’ombra nel cespuglio più vicino,
«la nebbia inghiotte il tuo dolore.
Impara nel tuo spazio mortale
imparando si sfiora il paradiso».
Sì, risposi e la luce diminuì l’ira del mattino
divise il mio corpo dal rancore
impose alle ombre di tacere.
E un tagliente azzurro prese – era già paradiso?
il posto del paesaggio, della prima persona.
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Da Salva con nome
Spazio dell’invecchiare
I
Solo la nudità alla fine ci raggiunge
esatta come la luna crescente nei capelli.
Esiste una gioia nella reticenza
e un riparo perfino in questo spazio
che ha un inizio e una fine.
Non voglio scrivere un’elegia della vecchiaia,
solo dire che spingere le braccia dentro il freddo
è una prova che ha il senso di trovare il verbo in una frase.
Senti come guadagni la via del corridoio.
Non è scontato il passo col respiro.
Conta i mattoni pensando ai ciottoli di fiume
all’acqua che ti fasciava il piede
ricorda quanta tenacia c’è voluta a decifrare
le mappe dentro alle parole.
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Da Historiae
Sciami, fotoni
Gas che collidono, tempeste, scontro di comete,
in questo cielo curvo che ci appare in pace
nessuna eco, nessun solco d’aratro,
nessun tragitto di linfa
dalla radice del platano al suo nero,
solo uno stormire di foglie
fino alla stella irraggiungibile
dove il tuo respiro rallentava.
Alla fine dell’inverno, senza neve
– è solo un altro lutto – mi dicevo – inosservato
nel mondo che s’intreccia al gelo.
All’improvviso invece in un angolo del letto
è apparso il sole, scavava silenzioso una sua strada
verso un luogo dove s’irradia luce
e non esistono i pronomi.