Da "VERSO LA MENTE" di Nadia Campana

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Nadia Campana nasce a Cesena nel 1954. Si laurea a Bologna con una tesi su Antonio Porta (relatore Luciano Anceschi). Successivamente, a Milano, tenta di immergersi nella vita letteraria, scrive poesie, contatta poeti della sua generazione, pubblica alcune liriche su una rivista romagnola (“L’altro versante”), nel 1979, e poi su una romana (“Prato pagano. Giornale di nuova letteratura”), nel 1985. Legge Emily Dickinson e ne rimane affascinata. Le sue prime opere risentono dell’influsso della Dickinson di cui traduce 140 poesie che pubblica, nel 1983, col titolo Le stanze d’alabastro, riprendendo l’inizio di una poesia “mortuaria” della Dickinson. Nell’estate del 1984 raccoglie un gruppo di circa 50 poesie, alcune già pubblicate ma in gran numero inedite, nel libretto Verso la mente che uscirà postumo nel 1990.
Si toglie la vita, a Milano, il 6 giugno del 1985.

 

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Da VERSO LA MENTE (Raffaelli 2014)

 

New York

assomigliava al mio cuore alternativamente separato
e unito come le labbra tra cui si mischia l’immagine
del vuoto, mia letizia, mia rosa d’inverno, destato
anno che verrà –
trafittura e ragione che perfora la testa ma non lascia
mai al buio. Con i capelli scogliera mobile che non si
possono dividere in due masse divergenti correre, attaccare
il pane con il coltello diritto o di scancio ma senza mangiarlo
e fendere con il frutto nord e sud
tassi nell’alba arancione piangendo
i palazzi uniche dighe alle nubi – e tutti –
tutti voltavano visi da apache perché era il parco
centrale, per cinque minuti attraversa la notte
come cento giorni di viaggio –
o una mano che puntava
una sicurezza e un dubbio insieme appoggiati a un sorriso
tocca la penombra pendio dove sono
e non sono, si china
per cogliere semplicemente per cogliere semplicemente
delle cose e quando si rialza non ha nulla in mano.
Dolce bianco e scuro vino buono come i corvi –
il tempo.
è il mio agonizzare quando mi allontano e vado
a raggiungere la siepe di tutti i giorni
dove resta impigliata la maglia si strappa e non
è che brandelli. Si è fermato. Mormorava tra sé alcune
parole che non saprò mai completamente.
Non è amaro, è di ossa e di carne, avorio, corno,
acqua, intelligenza, amore, cuscino.

 

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Le gioie del declassato

Che mi lasci guidare prematura
farmi portare impadronita
non reggono al confronto delle braccia
valigie piene di esempi
folate indicano il cappello soltanto
mutandosi in fili spazzati
e semi non custoditi in direzione
barca abbandonata lungo il fiume
guardo il ponte, un vero confine,
strappo le tasche e dal biglietto la sua fede:
si scioglie sulla guancia
la gioia del declassato.

Avendo già avuto a che fare
con la resa, scelgo
le processioni del riposo.
Io e la luna sorgente
in un punto remoto assonnate come cani

compressa da fatiche piagata
spostando di qualche strada i passi, spiccano
una dopo l’altra tenaci uguaglianze di tempo.

 

*

 

Ho fatto un grande sogno ma non ne ricordo
niente babbo amiamo le teste bruciate
dell’amore ma non la misericordia e
i chiodi come coltelli di gelosia
tra poco cadrà la strada su di te
spergiuro sulla mia infanzia scrivo
lettere, se non mi dai da mangiare
i capelli mi diventeranno come crine
e come un fucile. Notte di lupi
sprangare l’angelo del vento
qui è la piega
dove non sarà nuovo morire

 

*

 

lo sguardo sull’alto, estivo
di sguardo in quando
tessere spalancate
mani tra i capelli grigio di pipistrelli
coda lunga di cavallo in guardia
levigando le vesti con i boschi
festa della libera, signore,
sostanza della tua bocca
sostanza della tua fronte
se malgrado ogni cosa
mai così mettesti infide braccia
distacco maiuscoli rifiuti, questi

 

*

 

Si siede apre la sua pelle svela il suo cuore si cosparge di
profumo e riempie la stanza. Casi imbevuta di psiche
femminile non aspetta niente nessuno lentamente il
sonno vivo isterico e tenero preciso e leale si impossessa di
lei sottile e tenace. Immaginare è il suo lusso è
uno strumento ora una cassa di risonanza in cui tutti de-
stano i loro echi e trovano i loro accordi. È tenuta assai
per matta perché si chiude troppo in casa parla male di se
stessa ma non devi crederle. questi saluti quell’unico sor-
riso dà il benvenuto va e viene dal panico teme spesso di
precipitare nelle insidie del coraggio tirata ai quattro an-
goli pronta un cavallo senza briglie soddisfatto ai quattro
venti una vela dei minimi soffi di vento. Appena si sveglia
ride, vede le gemme rumorose sostituisce la forza ai con-
tagi tra il lago e il nulla cede passivamente nel silenzio fe-
dele marina imposizione gioca ritrova improvvisamente il
meccanico l’albergo che fabbrica giocondamente l’amore
chissà quale mondo puro nascerà fuori

 

*

 

Bunker

Non è una caduta priva di luce
non è dei capelli tirati
da mani che vogliono ordine:
dal bordo della finestra spio
la tua maschera e il gas
che ora sentiamo per gioco
siamo in alto in cima alle mie trecce
laggiù c’è il mare laggiù
ci sono uomini ma noi alle fascine
facciamo battesimo: sei Gabriele.

 

*

 

sciolgo l’appoggio
catturo un lume
sul pavimento sveglio l’incanto
coi segni, non
un trono che fluttua altissimo
né occhi abbacinati dal sole, ma
andare e venire
con la forza di una formica
percepire gli ulivi
avvolti nel silenzio
finché il mattino sciolga il suo bavaglio
e ci spinga alla stagione in piazza.