ECHI-RILETTURE. Da "LA VITA IDIOTA" di Dario Bellezza

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Dario Bellezza, poeta, drammaturgo e narratore, nasce a Roma il 5 settembre 1944. Dopo gli studi in un liceo classico nella sua città natale, lavorò per varie riviste letterarie e di poesia: "Paragone""Carte Segrete""Bimestre""Periferia""Il Policordo". Bellezza entrò nel mondo intellettuale romano nella metà degli anni 1960 quando, grazie al critico letterario e scrittore Enzo Siciliano, si avvicinò a Sandro Penna, Aldo Palazzeschi, Attilio Bertolucci, Alberto Moravia e a Elsa Morante, della quale diventò amico e confidente. Esordisce come poeta nel 1964 nella rivista "Nuovi argomenti". Pubblica nel 1970 il suo primo romanzo, con la presentazione di Moravia, Storia di Nino (edito da De Donato, e poi ripubblicato nel 1992 con il titolo L’Innocenza, da Mondadori) è la storia straziante e dolorosa dell’adolescenza omosessuale di Nino. Nel 1971 apparve la sua prima raccolta di poesie edita da Garzanti Invettive e Licenze. Scrisse Pier Paolo Pasolini nella sua introduzione: “Ecco il miglior poeta della nuova generazione.” La raccolta delinea e ritrae la gente alienata e oppressa dall’amarezza, dalla vergogna, dai sensi di colpa, dalle perversioni sessuali. Le poesie esprimono anche il suo costante desiderio della morte. I successivi romanzi, Lettere a Sodoma (1972, Garzanti; poi edito nuovamente nel 1995 da Marsilio) e Il Carnefice (1973, Garzanti) elaborano le traumatiche vicende personali che lo scrittore vuole rappresentare in tutta la loro crudezza . La testimonianza del proprio vissuto è per Dario Bellezza strumento di provocazione, scontro con una società che lo esilia dal reale. L’io, senza alcun inganno, senza falsità di sorta, si racconta nella sua vera quotidianità, nei suoi amori senza speranza, nelle delusioni, nelle vane illusioni, nelle mille difficoltà di vivere e di mostrarsi per quello che si è realmente. Nel 1976 pubblica con Garzanti la raccolta Segreta Morte, che vince il Premio Viareggio. Nel 1978 inizia una collaborazione produttiva con Pellicano libri, con la serie Inediti rari e diversificazione, pubblica testi di Alberto Moravia, Renzo Paris, Gianfranco Rossi, Goliarda Sapienza e Anna Maria Ortese, per la quale, con Beppe Costa e Adele Cambria, riuscirà a far applicare per la prima volta la legge Bacchelli, un vitalizio che è destinato a poeti e scrittori che vivono nell’indigenza. Nel 1979 pubblica il romanzo Angelo (Garzanti). Nel 1981, dopo la pubblicazione delle fotografie di Pasolini (“nella loro gelida, crudezza disarmante … nudi, esposti, con tutte le ferite della sua macabra mostra, martirio sacro”), Bellezza scrisse Morte di Pasolini edita da Mondadori. Nel 1982 pubblica una nuova raccolta dal titolo Libro d’amore (edito da Guanda) seguita subito dopo, nel 1983, da io (Mondadori) con intenzionale mancanza di lettere maiuscole. In questo lavoro, Bellezza descrive con leggerezza ma concretamente la sua vita quotidiana e la disperazione dei suoi amori mediocri, la consapevolezza di vivere in una realtà estranea e provvisoria. Un dolore incurabile. Pubblica poi due romanzi: nel 1985 Turbamento (Mondadori) e nel 1986, con Rusconi, L’Amore felice. Serpenta (1987, Mondadori), Libro di Poesia (1990, Garzanti), Testamento di sangue (1992, Garzanti) e L’avversario (1994, Mondadori), con cui vinse il Premio Montale, tutte raccolte di poesia intrise di doloroso lirismo, che riprendono i temi della delusione, delle sofferenza, dell’estraneità, della difficoltà del vivere. Le sue ultime opere sono il romanzo Nozze col diavolo (1995, Marsilio) e nel 1996 Proclama sul fascino (1996, Mondadori). Il suo addio alla vita. Bellezza ha inoltre vinto il Premio Gatto, nel 1991, con Invettive e Licenze  e il Premio Montale, nel 1994, con L’avversario. Muore di AIDS il 31 marzo 1996 in un letto dell’ospedale Spallanzani in totale solitudine e indigenza. è sepolto nel cimitero acattolico, il “cimitero dei poeti”, a pochi metri da Amelia Rosselli, con la quale ha diviso le giornate e la casa in una stagione della vita.
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Da LA VITA IDIOTA di Dario Bellezza (a cura di Fabrizio Cavallaro, Massimo Raffaeli e Francesco Scarabicchi. Con uno scritto di Enzo Siciliano - LietoColle 2015)

 

 

Ma se anche tu più bello venissi
a me ti vorrei uguale a come eri
se più bello venissi e più leggiadro
uguale ti vorrei a come eri, modesto
negli occhi e con le piaghe sulla
bocca minuta da baciare.
Ma se non vieni né bello né brutto
perché non vieni né bello né brutto? Allora perché
non vieni non vieni? Come se tu non fossi più, come
se tu non esistessi più.
Se non fossi più. Più che morto non sei,
più di morire non si può, ma ancora
non sei morto, no?, e allora perché
non vieni né bello né brutto come sei,
t’accetterei ugualmente anche spento
con gli occhi ciechi, dove sei, perché non vieni?
Sei veramente morto? Perché no vieni, non vieni
Come? Pallido sei? Brutto o bello vieni, vieni, basta
Che io non creda che tu non sei. Più.
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A un poeta
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Ora lo so: quel figlio a te non nato,
paradosso, scherzo della natura, ero io;
e tu dunque mi fosti più che fratello, iddio,
ladro di cuori, maestro, mi fosti padre.
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La gente non capirà, dirà la solita mania
di esibire il proprio spampanato self
di giovinetto in progress; non mi addolora
tutto ciò, mi esalta, se non fosse l’atroce
sgomento di sapere che neppure tu capirai.
Ti spiego. Era il tempo del modello su cui costruirsi
dell’Imitazione; nell’irrealtà in cui vivevo
unica, maledetta realtà eri tu. La spina della carne
la giocai a carte, puntai sulla tua dolce
violenza tutto ciò che avevo, ed eccomi qui
perso ad ogni altro destino che non sia il tuo.
Ma come per ogni altro padre è giusto che il figlio
anche il più amoroso e fedele si ribelli – in una
lunga rivolta che pecca contro la speranza
di essere padre di sé stesso, una volta per sempre,
così a me si richiedeva la dolorosa prova:
fare scempio del mio amore per te, appena figlio
già degenere figlio, prodigo figlio che non tornerà
mai alla casa del padre.
Ma tu non mi hai voluto. Non ti sei prestato alla manovra.
Come antivedendo tutto, nella tua disperata saggezza.
E dunque ora non ti posso rinnegare.
Rimani a confondere i miei piani.
Eppure mi ti accostai pallido e vergognoso
come un infante a cui non resta da fare
che prenderlo per mano, ma tu, la tua superbia
mista ad amarezza, assai mesta di tanti
rompiscatole intorno, mi evitasti sia pur
dolcemente come fossi il solito questuante.
Non hai capito, o hai finto prudente e misericordioso
e ti ho per questo odiato tanto da non voler essere
veramente quel tuo figlio non nato.
Mi hai rinnegato due volte, poeta
dolceardente non fatto per la paternità. Ma io
resto inchiodato alla tua immagine struggente
in un transfert diabolico della mia ansia
alla tua poesia.
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1963
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Il mio suicidio vivente amore che non ritorni
nell'estate che ritorna uguale e gaia nell'aria
calda dell'estate e calmo si stende il cielo
fino all'orizzonte lontano,
non è ancora consumato il mio suicidio
vivente amore che ti sei privato
di questo grande amore.
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La vergogna del sesso sconclusionato
che l'eterne piste percorre con il gusto fratello
che s'ubriaca dell'amore per l'originario incesto
non concede tregua al mio purgatorio;
l'angolo della perdizione è un misfatto
che danna ad occhi chiusi, occhi crepati
dalla malinconia di te fanciullo mio
che mi tradisci con gli avvoltoi interi
della Rivoluzione;
consumo fiumi d'inchiostro, aspetto
che il neghittoso e perfido mare bollito in pentola
mi purifichi del tuo petto d'uccellino
la fuga, l'oblio non bastano all'incontro
con il nulla che mi s'aggrappa addosso.
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La tua assenza sgomina
l'inganno del tempo trattenuto
corrono le stragi del cuore che
non contano più
verso il loro destino
il dolce segreto del grembo svelato.
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Sfuma il punto
del nostro incontro lontano
nel ricordo di poche occasioni
ma tu resisti immoto ad ogni urlo
come in un sordo delirio
mi fai segno di desistere
di smettere la lotta
contro il tempo che non perdona.