INEDITI di Linda Del Sarto. Con una nota critica di Lorenzo Fava

 

 

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Linda Del Sarto (1994) si è laureata in Lettere comparate a Pisa e in Lingua e cultura italiane per stranieri a Bologna, conseguendo successivamente il master in Editoria cartacea e digitale allUniversità Cattolica di Milano. Alcuni suoi inediti sono usciti allinterno della Bottega di poesia di Cucchi su Repubblica di Milano, Atelier Poesia, Diario di passo di Franca Mancinelli. Ha preso parte al XV Quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos 2021). Ha tradotto dal polacco il libro per ragazzi di Michał Rusinek Piccole poesie di famiglia (MIMebù 2021), per cui ha ricevuto il premio “Benno Geiger” 2022 come Giovane Traduttore, e Canzone nera di Wisława Szymborska (Adelphi 2022).

 

 

 

 

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“Non c’è mai fine al peggio / di un gran mancato dirsi” si legge nella chiusura di un testo che apre la prima sezione questa raccolta inedita, Strip-tease. La voce che Linda Del Sarto ha trovato negli anni, con l’esercizio della traduzione, del confronto e della riscrittura, non è una “variazione sul tema” rispetto ai versi di tempo fa, usciti nel XV Quaderno di poesia contemporanea Marcos y Marcos e titolati Questi che siamo. Effettivamente i mutamenti, naturali come solo sanno esserlo se al passo con il procedere della vita psichica di ogni poeta, non riguardano tanto il “sentimento della forma”, che di primo acchito mi sembra recare la stessa matrice di impronta lirica nel senso più alto del termine, ossia quello che contempla i sentimenti senza scendere nel fatto biografico, piuttosto tendono ad un sistema più alto di riferimento. Poesia lirica quindi senza che il lirismo abbia da assumere fattezze di profezia, ma che costantemente, sillaba per sillaba, reca le tracce di una negazione. Il volersi dare “in pasto al male, ma con grazia” sancisce di fatto quello che io credo sia uno dei leit motiv della raccolta intera, ossia la discesa nella “frattura del silenzio”. Il dettaglio di realtà che a mio avviso non manca in queste pagine è solo l’escamotage per parlare di un sentire intimo ma mai intimistico, ed è un risultato che pochi scriventi della mia generazione sono stati per ora in grado di cogliere, una sfumatura che per essere messa a fuoco, scrivendo, non ha bisogno solamente di una estrema padronanza della lingua: mai il filtro della coscienza letteraria supera la forza della vita raccontata, e per quanto dolorosa possa essere l’esperienza che porta l’autrice a scrivere, questo “filtro della forma” mai cede a toni “elegiaci” o “mitopoietici”. Non che vi sia motivazione di porre un segno negativo a questi termini, ma credo a ragion veduta che la Linda Del Sarto donna, collimando perfettamente alla Linda Del Sarto scrittrice, componga le parole come un’autentica opera dell’arte, che non necessita virtuosismi immaginativi; è la forza mimetica di quest’aderenza a dare valore al dettato. C’è e sono i pezzi che in assoluto preferisco tra queste pagine una vena di incandescente lirismo quando l’urgenza dell’espressione fa da contrappunto alla negazione dell’ascolto: “possa ogni parola morta / cucire la poesia definitiva”: in anni dove la scienza sembra essersi impossessata dell’umanesimo in ogni sua declinazione, di voci come questa c’è un bisogno che verrà capito, io credo, solo fra anni e anni, quando davvero il genere lirico sarà ormai da molto tempo tracollato. Montale diceva in proposito che il forfait fra il “fuori” e il “dentro” non sarebbe durato in quanto il primo, già ad inizio anni ‘70, era “armato fino ai denti”. Mezzo secolo dopo, dei poeti lirici puramente intesi restano pochissimi manifesti. Linda scrive uno di questi già nella sua prova edita e qui lo conferma. Questo modo di sentire, essenziale senza perdere la carne, chiarissimo mantenendo un’aura di mistero è oggi raro soprattutto fra i poeti che abbiamo strettamente coetanei. Quale destino per la scrittura di una poetessa che ha all’attivo anche una traduzione della giovane Szymborska? “Impasto mani e in sogno spacco porte preparo la trincea del giorno dopo”. Una parola aggraziata senza essere pacifica, resa viva forse proprio dalla guerra che la poetessa e la persona insieme combattono, quella di Linda Del Sarto è già una delle voci che meglio rappresentano la natura della lirica oggi, coi suoi motivi classici e la durevolezza che la contraddistingue. Mi rendo conto che in queste poesie c’è un diluvio di emotività, emotività che però è incanalata nell’educazione della centellinazione della parola: l’impronta è riconoscibile e al contempo universale, drammatica senza scadere nella commiserazione, orgogliosa senza prevaricare la facoltà di chi legge di rivedere la propria esperienza. D’altronde, già l’epigrafe destina la ricezione “a chi parla, a chi ascolta, a chi tenta”: se la struttura della lirica ha bisogno, per essere tenuta viva, di vocazione, strumenti linguistici e lavoro di lima, questa poetessa diverrà capitale.

 

                                                                                    Lorenzo Fava

 

 

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Da STRIP-TEASE

 

 

 

 

 

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mi sono tolta tutto,

anche la voce, scomunicata

al pianto e alla parola

per non vedermi morta

fra le frasi

 

non c’è peggiore fine

di certe penne nuove già esaurite;

non c’è mai fine al peggio

di un gran mancato dirsi

 

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dormo in letti poco miei

e intorno semino la pelle;

mi coltivo nelle ombre

della stanza, impasto

mani e in sogno spacco porte –

preparo la trincea

del giorno dopo

 

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penso al movimento, a certe

azioni reiterate in una stanza:

ne vedo l’ossatura, ciò che avanza,

la mole gracile, una timida

certezza ripetuta –

 

resto muta

di fronte a tanto esercizio

di pazienza

 

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prima del trasloco e di ogni altro

movimento il fuoco, un profumo fermo:

 

c’è odore di giorno zitto,

senza viso