INEDITI di Marco Plebani. Con note di commento di Mauro Barbetti
Nato il 20 agosto del 1978 a Jesi (AN), vive attualmente a Macerata con la compagna e il figlio; qui insegna Lettere presso la Scuola Media “Enrico Fermi”.Ha all’attivo le raccolte di versi Un giorno qualsiasi (OTMA, Milano, 2011), secondo classificato al premio A.U.P.I. (Albo Ufficiale Poeti Italiani, 2011), e Decimo Dan (La Gru, Latina, 2022).
Ha partecipato al Festival “Terra di Mare” (Grosseto, 2024) e a “La Punta della Lingua” (2024).
Suoi lavori compaiono o sono stati recensiti su “Poesia del Nostro Tempo”, “Versante Ripido”, “Niederngasse”, “L’Estroverso”, “Independent Poetry”, “’900 Letterario”, “Poesia Ultracontemporanea”, “La Poesia e lo Spirito”, “Di Sesta e di Settima Grandezza”, “Le parole di Fedro” ed altri, un suo testo, Adriatica è stato tradotto da Antomio Nazzaro per il “Centro Cultural Tina Modotti”.
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MARCO PLEBANI, NEL SEGNO DI BERGSON
Ci trovo qualcosa di bergsoniano in queste poesie di Marco Plebani, poesie in cui potrebbe benissimo riecheggiare la celebre frase del filosofo francese «Il presente non contiene altro che il passato».
E in effetti, quando Plebani guarda e ci dettaglia il presente, spesso la lente attraverso cui lo fa si deforma, riprende immagini e momenti trascorsi, come a sottrarli dalla patina del tempo, come se fossero ancora vivi, attuali e riportassero una verità nel loro senso più profondo, colto appunto attraverso il movimento in cui il passato costantemente si riverbera nel presente, in modo improvviso e imprevisto. Questa lente deforma anche il linguaggio, lo reinventa, come in una specie di fase ancestrale e pseudo-lallatoria che scopre il mondo, le cose, le relazioni segrete tra esse. Questi inediti si muovono su terreni distanti da quelli calcati nei due libri precedenti, si allontanano dal sicuro rifugio del linguaggio lirico e di una visione raziocinante, sperimentano invece l’ebbrezza di nuovi panorami e definizioni del mondo attraverso neologismi, allitterazioni e paronomasie, giochi linguistici (che già connotavano alcuni momenti dei volumi già usciti), un petel di zanzottiana memoria e/o contaminazioni con linguaggi più tecnici. Cadono le barriere tra quello che dovrebbe essere poetico e quello che non dovrebbe esserlo, c’è una emulsione, una centrifuga benefica che forza l’area del dicibile in senso surrealista.
Diamo subito un riscontro di quanto fin qui affermato con la prima poesia (tutte sono senza titolo).
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se si scrive solo col computer per il computer.
Signor Tastieraldo, potrebbe pigiare
£-%-^-°-$-?
Ma certo, scriccato di stinchi preferendo un Manhattan
per la fegataia, ricordati la desinenza sparpagliata a schizzo.
Abbasso l'epidermide al volere della traccascagna.
“Le Grand Gaspaaaaaaaaaar!!!”
ha strillato da una motocicletta
sul corso di Porto Recanati
trent'anni fa d'accadimento.
Langue l'inesistente manoscritto
che stavolta vaga d'intermittenza
sulla fredda carezza dei cursori.
Cos’è qui che lega l’oggi, il momento dello scrivere, a un episodio lontano di 30 anni e in apparenza senza senso? Forse una radice di anarchia, dove lo scrivere, il bere, il vivere e l’urlare la propria libertà si muovono sullo stesso orizzonte (benché sia proprio quello della scrittura ad apparire il più difficile e il meno liberatorio, se non altro finché quell’irruzione dal lontano passato non riesce a vivificarlo). Dopo di che, per un breve momento, la scrittura può aprirsi, creare neolingue, divertirsi, farsi monella impertinente e visionaria.
Leggiamo un secondo esempio.
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Mentre tutti riwiwiwiwiwiwiwiwiwiwi wi sulle piattaforme -fi.
Con figlio nuova terra per capacità di ricaptazione di memorie.
progrediente e convessa per due,
dopo decenni da cui.
Erba.
Porta di ferro una, l'altra legno.
L'Alfa 155 scivola sulla plastica
dello scivolo gialla senza morti e lo fa innumerevoli volte,
ma meno del rastrello rosso sull'erba uccisa.
Ricordo nuovo inviolato, ora,
padroni di stati di coscienza
di quanto sia stato avvertito come prodotto
da uno stimolo esterno o interno
nel regno a nocche congelate da riscaldo.
Ci avranno vicini irti giardini
di femmineo e tacito fogliame.
Anche qui i ricordi scatenano congetture, aperture sul mondo, il linguaggio viene forzato, dei “rivivi” diventano “riwiwi”-fi e davvero assumono nuova vita. È sempre il ricordo che permette una riconnessione attraverso gli anni e quelle porte (di ferro una, l'altra legno) sembrano quasi porte temporali, stargates dove penetrare un segreto antico e quel Super Tele milanista nella sua sgonfiezza sembra quasi il correlativo oggettivo di una ineluttabile sconfitta, di una impossibilità di continuare quel gioco, quell’incanto, quel magico momento d’infanzia.
La realtà si ribalta, tornano gli oggetti di un tempo, con incerte attribuzioni: il rastrello rosso dei giochi, l’Alfa 155 che non si sa se sia un modellino o l’auto usata in gioventù; ma del resto, che importa sapere, in questo stravolgimento temporale e dimensionale nel quale siamo condotti dal poeta?
Frequente si avverte questo senso di nostalgia per l’infanzia e l’adolescenza, per la loro condizione aurorale, dove tutto appare logico, necessario, possibile. Così nella poesia successiva anche fregare la squadra più forte della provincia diventa fatto accaduto, fotografia che resta a emblema di un universo possibile, come possibile parrebbe a volte, quasi montalianamente, abbattere le barriere del reale, lanciarsi oltre, sognare una vita diversa, far tornare il pavimento della palestra ad essere quello nero, deformato, di allora e non quello verde attuale.
***
Le bolle nere sul pavimento nero della palestra pallavolaia
non esistono più, permanenza nella capacità dell’uomo
a richiamo della coscienza
di nozioni del momento anteriore rispetto all'attuale.
Sugli avambracci a elevazione muscolo-scheletrica da rinforzo
in rinforzo acetato e il pelume.
Fregata la squadra più forte della provincia.
Una fotografia in tutto l'universo.
Mura rimaste nella rimembranza
da ristrutturazioni manomessa.
Le bolle nere sul pavimento nero della palestra non esistono più dalla pavimentazione verde.
Chiudiamo con un’ultima poesia.
***
Ottantenne snello, sguardo oltre la palazzina
fuoriuscita dal bonus 110 che non vede nemmeno.
Demente consapevole.
In Corso Cavour
con l'indice davanti alla bocca,
ma per zittire nessuno, immobile,
gambe piegate all'indietro in
posa plastica di Lisippo.
Seduto come un impiccio
sulla soglia del bar.
Non ascolta la corolla estiva delle ragazze
che travasano profumo, esperienze d'aperitivo.
Lui annusa il fiore della sua lapide.
Qui non è presente un’epifania, un ricordo che scardina il presente, ma comunque c’è un confronto tra diverse dimensioni temporali, quella dell’ottantenne che non guarda, non si cura di ciò che gli sta attorno, che appare già fuori contesto, inutile, un impiccio, con la sua prospettiva di morte vicina dove annusa il fiore della sua lapide e la vita che continua indifferente e si manifesta attraverso le ragazze sedute nello stesso bar che travasano profumo ed esperienze d'aperitivo.
Anche il linguaggio ci testimonia un’alternanza di presente e passato, di modernità e classicità, dove si va dall’ultracontemporaneo bonus 110 alla posa plastica di Lisippo.
Insomma, questi inediti di Plebani ci parlano di una ricerca in corso, di un percorso poetico che sarà interessante seguire nel suo prossimo farsi, della volontà del suo linguaggio di affrontare la modernità e di darne conto, senza rifuggire dal passato e dalle memorie che da quello continuano a giungere nel nostro presente.
Nel segno di Bergson.
Mauro Barbetti