Inediti - Su e da "ETICA DELLA PAROLA DOLCE" di Claudia Fofi. Con una nota introduttiva di Mauro Barbetti

 

 

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Claudia Fofi è nata a Perugia anche se ha sempre vissuto a Gubbio. È formatrice della voce, cantautrice e autrice, poeta e scrittrice, organizzatrice di eventi culturali. Utilizza il canto e la voce nei processi trasformativi e di riabilitazione, cura progetti di scrittura della canzone. Con le sue canzoni ha ottenuti numerosi riconoscimenti: Premio Ciampi, Grinzane Cavour, Premio Logic al Mantova Musica Festival, finalista tre volte al Premio Musicultura. Ha pubblicato tre album (Un sogno blu, 1996, Centrifuga, 2003, Teoria degli affetti, 2019). È autrice di canzoni arrivate in finale al Premio Tenco nel 2020. Nella poesia ha esordito nel 2016 con Odio le ragioniere, Ed. Secop, collana “Poesia in Azione” diretta da Silvana Kuhtz. Nel 2019 ha pubblicato una raccolta di post, esperimento letterario intitolato Post-Post, ed. Bertoni. Menzione di merito con la silloge inedita Il delta della lingua al Premio Gozzano 2018. Finalista Premio Carrera 2021. Menzione d'onore premio “Quello che Caino non sa” 2021. Terza classificata alla prima edizione del premio “Ragioni di una poesia” 2021. Con la raccolta Etica della parola dolce è stata finalista al “Premio Pagliarani” 2022.

 

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Nel mondo della poesia capitano di frequente “randez-vous”: occasioni, punti di contatto, corrispondenze e reciproche letture non mancano. Ho incontrato Claudia Fofi come artista a una performance collettiva durante la Biennale sull’Antropocene a Roma e l’ho poi rivista nella sua veste di animatrice culturale, là dove vive, a Gubbio. Claudia infatti ha una natura poliedrica: musicista, poeta, organizzatrice di eventi, lo scorso anno è stata finalista al premio “Elio Pagliarani” con suo un lavoro inedito, intitolato Etica della parola dolce, lavoro che ho avuto il piacere di leggere e di cui vorrei qui rendere conto.
Nel dibattito odierno si parla molto di autenticità e in diversi sostengono che molto dipenda dalla postura che assume l’io all’interno del testo, così che diversi scrittori agiscono in modo da negarlo o mascherarlo. Ma le declinazioni del possibile non si esauriscono in questa formula, ognuno nell’arduo confronto con la pagina bianca attua le proprie modalità, quelle più vicine al proprio sentire, atte a rendere la propria parola quanto più autentica possibile. In questa raccolta c’è indubbiamente un io presente, senziente, agente e che tuttavia si esprime in modo “debole”, c’è una voce che anche quando parla e si espone in prima persona, anche quando si avvicina a una “confessional poetry”, lo fa senza sconti al sé, senza maschere e finalità auto-celebrative o auto-affermative.
Siamo lontani da un tipo di poesia lirica che utilizza un armamentario retorico e un canone già ampiamente fissato. Altro dato che mi pare caratterizzante è che questa voce riesce a farsi spesso io collettivo, coralità di un ambiente, allorché si compenetra al contesto locale sia umano (i personaggi eugubini) che naturale (i luoghi cari), operando una sintesi tra rapporto immediato con la realtà quotidiana e il suo parlato e quello mediato con cultura e attualità, tramite un lessico più specifico. Del resto, la visione programmatica dell’autrice è rivelata in modo chiaro, là dove Claudia scrive “bisogna uscire dall’io / scrivere seriamente / oppure smettere una volta per tutte / sviluppare l’antidoto” o là dove, con una citazione/omaggio all’ultimo libro di Grace Paley, trova una naturale concordanza con la poetica del quotidiano della scrittrice statunitense, “non c’è niente di sicuro in questa vita / e io sono molto brava a fare torte di mele / mi vengono meglio che le poesie”.
La molla scatenante di tutta la raccolta è comunque l’esperienza personale e collettiva vissuta durante il lock-down, esperienza che, fuori dalle manifestazioni esteriori della prima ora, è già e andrà ancora rimeditata, come per ogni fase storica significativa: l’essere costretti a orizzonti più limitati, a riduzioni drastiche delle nostre libertà ha avuto tutto un portato di riflessioni e ridefinizioni del concetto di presente e di futuro, che via via stanno uscendo in modo sempre più approfondito e consapevole. La pandemia non ci ha resi migliori, così come ingenuamente postulato nelle prime fasi, ci ha costretti a sofferte disamine, a evidenti fratture sociali, ha cambiato il nostro modo di sentici nel mondo. Di questo cambiamento la poeta dà conto sia nella prima parte della raccolta, dove si muove tutta all’interno del suo universo personale e relazionale, ancor più stretto e circoscritto a causa della pandemia, ma vivo e significativo nella sua immediatezza e schiettezza umana (si vedano le figure di Luigi il postino e del suo pappagallo, di Gianni il barista o della vicina con la sciarpa rossa) e nella sua integrità naturale (le brevi passeggiate e le viste del monte Catria, del Cucco o della spiaggia di Fano). Nella seconda parte, probabilmente destinata a diventare anche testo performativo per il teatro, la visione si amplia e subentra la riflessione, spesso posta in forma dialogica, sulle trasformazioni in atto nella natura umana e sulle potenzialità e i rischi delle nuove frontiere di scienza e tecnologia. Non si può non sottolineare come Claudia Fofi, nella sua etica fatta di parole dolci, si collochi sul versante di un umanesimo che, privato di ogni sua arroganza e onnipotenza, guarda al futuro con perplessità, invitando a riappropriarci del nostro tessuto connettivo e a confidare nella nostra natura più intima e resiliente, come recita la chiusa di una delle sue poesie “tu invece, tu poesia / fai il tuo lavoro di sommossa / scoperchia tutto, immergi il cuore nel sale / solleva queste posture curve / aiutaci a restare umani”.
                                                                                                                                          Mauro Barbetti

 

 

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Da ETICA DELLA PAROLA DOLCE
 

 

Dalla sezione I - Distruggono il mondo in pezzettini
 

 

all'inizio c'era la poesia
il silenzioso passare dei giorni
poi è arrivata la noia
sotto forma di finestra
nel frattempo le foglie sul gelso davanti
nel frattempo più gente più passi
poi è arrivata la stanchezza
di questa non voglio dire
si è buttata su una poltrona muta
ha smesso di lievitare il pane
poi sono arrivati i sogni
insieme alla mancanza di sogni
e la paura di sapersi sepolti
senza neanche essere morti


immagina con me la finestra
tre vetri intercalati dagli infissi
oltre una facciata bianca
mossa in mezzo da due occhi
uno marrone sempre chiuso
l’altro grigio che si chiude per le otto
immagina l’albero di gelso davanti all’altra casa
dentro, un lampadario gelido e la televisione
sorpassando le foto appese e il reliquiario
ecco l’altra finestra sul piccolo terrazzo
luci più calde e il quadro di un paesaggio
e poi camminando per quei pochi metri consentiti
la scoperta di via nino bixio con le sue acacie
e alla fine proprio sulla curva
l’albero di giuda rosa svafillante

qualcuno suona il piano sotto il porticato
un piccolo episodio sommerso
nel fragore del creato


a fare la spesa è tutto un programma
un’apnea, un calcolo esatto
la cosa che più mi schianta è la fila
la roba nei carrelli degli altri, quel torpore
dalle cassiere al bambino macilento,
mica è normale


passa ogni giorno la vecchia con la sciarpa rossa
tira vento e lei passa piove e lei passa
i capelli ogni giorno più bianchi sulla radice
- causa chiusura parrucchiere -
lei che normalmente li tingeva di marrone
passa con le buste vuote e piene
dev’essere una a cui piace cucinare
passano lei, la sciarpa rossa, il virus, le verdure
e passano pure i miei versi rosi sbustati e bianchi


scioccamente lucida, continuo a viaggiare nell'etere
si è creato uno spazio bianco, ho lasciato che la parola vagasse
si ottiene molto, si ottiene una grazia a fare così
a mollare la presa senza reagire
le persone vive sono bisognose di parole d’amore
l’amarezza fallimentare dell’istituzione poetica non serve
intrisa la vita di passaggi stretti chiedo ai versi
di starmi accanto, di accerchiarmi con dolcezza
di essere quel braccio che tanto mi manca
quella bocca che si apre sul lobo dell’orecchio
e sfido chiunque a dire che questa roba che macchia
la carta è meglio di qualunque umano calore

 

 

Dalla sezione II - Satura
 

 

chiudi gli occhi e fai esercizio di memoria
sono sicura che non ricordi affatto
quante finestre vedi dalla tua
e quanti tetti


clinicamente sarebbe già morto
il covid gli ha dato una spinta diciamo
ma tanto era più o meno morto
si è vero ancora no
ma sarebbe morto prima o poi
aveva malattie pregresse gravi
gravi segni di indebolimento concavo
soffriva di solitudine e calmane
perdeva peli e aveva un dente guasto
sarebbe comunque morto quindi
il dottore ha avuto torto
intubare un quasi morto non si fa

 

scansati proprio dalla mia vista
fammi guardare lo spettacolo
del mondo alla fermata del tram
è l’oracolo di delfi oggi a parlare
del mondo fermo sulla pista
di ghiaccio dove andavamo con te
a fremere per qualche cosa di giovane
muoiono ma hanno le malattie
pregresse che dio li strafulmini
sbigottita ingoio il boccone del prete
gli occhi si fanno aguzzi a guardare
la lista di stemmi decorativi sul
petto del giardiniere delle ossa
col pennacchio dell’illustre imbalsamato
a tornare sulla lista dei colpevoli
mentre ci divertiamo con le olive
scansati proprio dalla mia testa
questi giorni di corriere immobili
anche a scavare non trovi niente
da intubare che bocca di vecchio
con la malattia pregressa
ho pianto ho provato a salvarlo
ma se ne voleva andare giuro non è
il covid a ucciderli tutti è qualcosa
di misto tra un paragnosta e uno
mentalmente instabile con la
prostata ingrossata in televisione
ma li hai visti che facce strane
ma li hai visti che facce di rane
la storia della pregressa della fessa
a me non m’imbocchi camaleonte
se ne voleva andare in giro a vivere
come se non avesse una malattia
pregressa sul campo di forellini
di calendule così rare sui greppi
se ne voleva andare a vivere
[…]