POESIE SCELTE (E SPARSE) di Salvatore Toma
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Salvatore Toma nasce l’11 maggio 1951 a Maglie, in provincia di Lecce. Inizia a scrivere fin da giovanissimo, pubblicando le sue prime raccolte, da tempo introvabili, presso case editrici minori. Negli anni Ottanta la sua poesia inizia a circolare presso un pubblico più esteso grazie all’interessamento di Maria Corti, che dopo averne promosso la pubblicazione su “Alfabeta”, curerà l’antologia Canzoniere della morte, uscita postuma nel 1999, divenendo rapidamente un caso letterario. Muore a trentacinque anni, il 17 marzo del 1987, dopo un breve ricovero presso l’ospedale di Gagliano del Capo. «L’età in cui muoiono i grossi poeti» – scrisse il suo sodale Antonio L. Verri.
In vita ha pubblicato: Poesie. «Prime rondini» (1970), Ad esempio una vacanza (a Babi) (1972), Poesie scelte (1977), Un anno in sospeso (maggio 1977 - luglio 1978) (1979), Ancóra un anno (1981), Forse ci siamo (1983).
Nel 2020 è uscito, per Musicaos Editore, Poesie (1970 - 1983).
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Ti si intravvedeva
fra le antiche mura
svagata nel gioco delle onde
camminare sul bagnoasciuga
leggera nel vento la tua veste chiara
il tuo sguardo distratto
lontanamente rapito.
Risuonava il mare quel mattino
dei colpi del maestrale
ma nulla sciupò il tuo sguardo
il tuo incedere di marmo
nemmeno il saperti lì sola
smarrita da sempre.
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Non pensare alla morte
in un giorno così riuscito
di sole e di nostalgia
ma pensa al domani
che così incredibilmente risorgerà
e non ti parrà vero.
Pensa agli animali
al buio luminoso della campagna
alla volpe
felino di caccia e d’allegria
e dormi con essa
il conforto di un sonno animale
dove anche la morte
diventa una questione d’olfatto.
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Sono un grande poeta
uno di quegli artisti singolari
e me ne frego
dei miei debiti morali.
Me li deve pagare il governo
forse forse il padreterno
in cambio della mia
opera volgare.
Infatti come chi tutto conosce
voglio godermi la vita
ogni momento
piuttosto che avere alla fine
la fregatura di un monumento.
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Per scrivere versi
o esserne capace
mi bastano
in mille modi mischiate
quelle quattro parole che conosco
e i venti libri che ho letto
e riletto cento volte
e le tante frasi inventate
ad opera di una mente
che raramente mi riconosco.
Non mi occorre
devastare biblioteche
dire che sono un poeta
che conosce la matematica
e la filosofia
per vivere poi come tanti
una vita non mia.
*
Vento leggero che parli
con voci di foglie
che apri i germogli
e li fai trepidare
nella primavera.
Vento che asciughi
i panni, bianchi
come visi di bambini,
e a volte con dolcezza
il sudore della fronte,
fa che la mia morte
sia liscia, serena
come il tuo respiro.
Ultima lettera di un suicida modello
A questo punto
cercate di non rompermi i coglioni
anche da morto.
È un innato modo di fare
questo mio non accettare
di esistere.
Non state a riesumarmi dunque
con la forza delle vostre certezze
o piuttosto a giustificarvi
che chi s’ammazza è un vigliacco:
a creare progettare ed approvare
la propria morte ci vuole coraggio!
Ci vuole il tempo
che a voi fa paura.
Farsi fuori è un modo di vivere
finalmente a modo proprio
a modo vero.
Perciò non state ad inventarvi
fandonie psicologiche
sul mio conto
o crisi esistenziali
da manie di persecuzione
per motivi di comodo
e di non colpevolezza.
Ci rivedremo
ci rivedremo senz’altro
e ne riparleremo...
Addio bastardi maledetti
vermi immondi
addio noiosi assassini.
Alla deriva
Alla deriva
c’è soprattutto il mare
il mare vero
l’annientante malinconia
delle alghe morte
alla deriva
ci sono sogni della sera
le ultime voci
dei fondali profondi.
Non posso esser vivo
e ricordare i morti
non voglio esser vivo
se devo ricordare i morti
da vivo non si vive
se ci accompagnano i morti
e l’ossessione della loro
esistenza.
Alla deriva
c’è invece il mare
il mare aperto infinito
alla deriva
c’è finalmente la vita
filtrata digerita
c’è la leggerezza
del corpo vuoto.
*
Quando sarò morto
e dopo un mese appena
come denso muco
color calce e cemento
mi colerà il cervello dagli occhi
se mi si prende per la testa
(l’ho visto fare a un mio cane
disseppellito per amore
o per strapparlo ai vermi)
per favore non dite niente
ma che solo si immagini
la mia vita
come io l’ho goduta
in compagnia dell’odio e del vino.
Per un verme una lumaca
avrei dato la vita:
tante ne ho salvate
quando ero presente
sciorinando senza vergogna
l’etichetta della pazzia
con l’ansia favolosa di donare.
Per favore non dite niente.