Su e da "ALOGENURI D'ARGENTO" di Marina Baldoni. Con una nota di Massimo Raffaeli

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Marina Baldoni è nata nel 1962 a Loreto, dove vive.
Ha pubblicato due raccolte di poesie: In un angolo del Mare (2010) e Fili di sale (2011), entrambi per Controvento Editrice.
Da alcuni anni frequenta la Scuola di cultura e scrittura poetica “Sibilla Aleramo” di Civitanova Marche, fondata e diretta da Umberto Piersanti.
Nel 2018 ha vinto la prima edizione del concorso “Poesia Immaginata”, spin-off del premio letterario nazionale Paolo Volponi.
Le sue passioni sono la lettura, la scrittura, l’arte e il disegno, la fotografia e la musica. Nella sua borsa non mancano mai un buon libro, il suo Moleskine e una fotocamera.
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Un pensiero per Alogenuri d’argento
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Per essere un esordio, il libro di Marina Baldoni manda un segno netto di poesia, nel qual caso un diagramma di dolore. Due sono le immagini essenziali, entrambe di nascondimento/svelamento, e cioè la maschera e lo specchio dove va e viene il tratteggio di una figura di continuo dislocata (o dissimulata) ma che torna all'improvviso in primo piano per frammenti e dettagli spezzati, umiliati, che sono invece vividissimi. A tali due immagini ne corrispondono, nel corpo del testo, altre due che ne dicono gli interni corrispettivi, e cioè le figure del taglio e della cucitura: sono queste le tracce di una ricomposizione che tuttavia è sempre dolorosa perché incancellabile resta lo spettro delle vere cicatrici, anche grafiche, con i tagli messi al posto delle parentesi, gli strappi e le sdruciture ben visibili. E proprio il gesto di ricomposizione trova un limite nella persistenza delle stesse ferite, le quali si rimarginano ma senza sparire, anzi tornano a sanguinare e rimordono, persistenti e ossessive. È lì che il senso della poesia si manifesta, in un tratteggio intermittente della parola, nella linea del verso che rimane ferita.
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giugno 2020
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Massimo Raffaeli
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un poco meno
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zolla rivoltata i tuoi pensieri
tagliati a mezzo, ostinati
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il tuo sesso una curva stretta
verso vuoti aspri, trascurati
torneranno parole e gesti
prima della notte
senza toccarti arriveranno a
ricucirti intera
appena appena un poco
meno di prima
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coincidenze
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stanotte erano tanti i binari
e tanti i treni
fitti
come in un nido di serpenti
leggeri
tutti egualmente in salita
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ero quella che arriva, io, e quella partita
quella, pure, che attende alla fermata
la storia ritrovata o la interrotta
che l’addio dà, appena sgualcito, con la mano
o con un fazzoletto
timido
in tasca una foto sola
ritratto di compagni antichi
di un antico, forse, viaggio
di racconti a venire, quasi contorni
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mille volte
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rifare i conti con vuoti e
prospettive
attraverso lo specchio
che non risponde, canzona
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che poi, dico,
lui che mi ha visto mille volte nuda
può ridere di me quanto gli pare
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senza salvarsi mai
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sulla destra
ogni volta
di poco salve dai binari
mille canne ondulavano di lato
appena appena spettinate
chine, come a fuggire via
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invece era sempre suo l’andare
suo lo strappo dai soliti orizzonti
tragitti per sradicare interferenze
pesi e misure
ogni volta
senza salvarsi mai
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mi metto via dal tuo mondo come
si butta il golfino ormai stramato
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(o forse come si toglie
la carta doppia dal mazzo
di un baro, con un giro di polso
urgente, nessuna mano vincente
e solo un secondo per aver salva
la vita)