Su e da "CONCERTO PER L'INIZIO DEL SECOLO" di Roberto Minardi. Recensione di Luigi Cannillo

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Roberto Minardi (Ragusa, 1977). Nel 1999 si è trasferito in Inghilterra, a Londra, dove risiede tuttora lavorando come insegnante di lingue. Dal 2005 al 2006 ha vissuto a Panama, dove ha tradotto poeti locali e pubblicato la sua prima plaquette in versione bilingue. Nel 2007 la Archilibri di Comiso (RG) ha pubblicato Note dallo sterno. Nel 2014 viene premiato con la pubblicazione della silloge Il bello del presente dalla casa editrice Tapirulan. Nel 2015 esce La città che c'entra (Zona Contemporanea), silloge che è stata segnalata all’edizione del 2016 del Premio “Montano”. A questa raccolta è liberamente ispirato il mediometraggio The city within, realizzato in collaborazione con il regista Tomaso Aramini. È autore egli stesso di alcuni video sperimentali. Oltre che in volume, suoi testi sono apparsi su riviste letterarie (“Tratti”, “Semicerchio”, “La Mosca di Milano”, “deSidera”), online (“Atti impuri”, “Poesia 2.0”, “Carteggi Letterari”, “Atelier”), su antologie di concorsi (Poesie al mondo, Tapirulan, Premio Anna Osti) e sull’archivio multimediale “Phonodia” dell’università Ca’ Foscari di Venezia. Sue poesie sono state tradotte in inglese, spagnolo e turco. È stato cofondatore del progetto poetico “dopotutto [d|t] (una poesia italiana fuori)”.

Nel febbraio del 2020 è uscita, per Arcipelago itaca, l’opera in versi Concerto per l’inizio del secolo.

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Concerto per l'inizio del secolo si presenta come opera totale e totalizzante già a partire dal titolo che si riferisce a una unità complessa e articolata – il concerto – e a un arco temporale che riguarda non solo un inizio condiviso ma, indirettamente, il suo inserimento in unità più vaste dilatabili a un prima e a un dopo. In questo asse temporale e strutturale si irradia la polifonia delle voci e dei soggetti in personaggi e figure diverse e in ambienti disparati. Significativa risalta la dedica al figlio in uno slancio, ben oltre la proiezione strettamente biologica e privata, nel rapporto tra diversi campi di tensione: paternità/infanzia, formazione/etica attraverso la polifonia delle voci, nelle escursioni in luoghi e personaggi disparati. Quindi tutto decolla dall’inizio del secolo e con un destinatario esplicitato ma si proietta verso il rapporto tra generazioni diverse, i fondamenti di un’etica formatrice, fino al rispetto e alla protezione della/delle specie. Il tutto in una architettura ambiziosa articolata in sezioni, episodi, quadri, scritture, personaggi, voci tematiche, toni diversi, da epico a intimo, da lirico a pop. A iniziare dalla prima sezione, Tema della fine, il cui titolo già opera un rovesciamento rispetto al tema epocale dell’inizio secolo: “non saremmo dovuti nascere / né avremmo dovuto lanciare / la bottiglia vacante / amarne la percussione al rotolare sul bitume // saremmo dovuti rimanere cani con le lingue lunghe / ragni o servitori di té, tiratori di lenze / in una maniera o nell’altra, guardiani / avremmo dovuto prestare l’attenzione tutta / ai granchi che sollevano le conchiglie e s’affacciano / studiarli per lunghi e interminabili mesi [...]”.
Il Concerto è un Opera da rileggere/riascoltare più volte, percorrendola anche trasversalmente con libertà, con modalità diverse da quelle di un semplice insieme di narrazioni o di una raccolta di liriche tradizionalmente intesa. Forse meglio come un’entità indipendente da singoli elementi compositivi (parola, immagine, versificazione, collegamento, successione) attraverso una percezione più totale, così come si “rivede” una sequenza cinematografica nella quale tutti quei singoli elementi formano una unità di linguaggio autonoma e complessa allo stesso tempo nei suoi collegamenti. È in questa modalità che si può trovare una forma di sintonia con l’Autore. Considerando la raccolta come opera poematica nella quale l’estrema libertà delle forme corrisponde a una impalcatura, a una sorta di sistema neurologico fuori dalle convenzioni. In autonomia rispetto alle scelte stilistiche prevalenti degli ultimi decenni eppure ricca di richiami a nuove forme epiche oppure alla poesia underground o a quella della Neo Avanguardia. Con forti accenti visionari, invenzioni lessicali e neologismi, forme ellittiche, e senso dello sviluppo e nella rielaborazione dell’assunto di partenza delle singole sezioni o dei singoli testi. Così si alternano rivelazione e reticenza, affermazioni e spiazzamento, asserzioni e straniamento, dichiarazioni o enigmi in un repertorio di forme poetiche e in prosa, come pudica testimonianza dell’Io o cronaca di eventi collettivi.
La acuta e appassionata prefazione di Davide Castiglione si può considerare parte dell’opera per l’adesione al progetto di scrittura, per la condivisione critica con osservazioni particolarmente convincenti nel sottolineare un atteggiamento di reazione/ribellione dell’autore rispetto al male perpetrato dagli uomini, all’affermazione di un “sentimento di fratellanza universale”, nel rilevare “la ricchezza dialettica” il rapporto tra “continuità tematica e dissonanza tonale” il “susseguirsi in un flusso continuo” dei testi e delle sezioni dell’opera, oltre alle osservazioni su parti specifiche della stessa.
Ed è proprio l’alternarsi di prosa e poesia, l’inserirsi ricorrente di “Motivi per una nuova vita” in poesia tendenzialmente più discorsiva come momenti rifondativi dell’esistenza, o di “Anticipazioni” in prosa riferite a future nascite e nuove vite, o i “Contrappunti” di critica o denuncia, tutti testi in sequenze regolari e numerati, a formare una rete che si alterna ciclicamente a singole poesie di varia lunghezza, a volte nella misura del poemetto, talvolta più brevi. È il flusso, l’insieme da considerare, al di là di singole parti che il lettore possa trovare più attraenti secondo il proprio gusto personale. Cogliendo e sviluppando un suggerimento dello stesso Castiglione l’opera di Minardi può essere considerata come “emancipatoria” rispetto al nichilismo in poesia, e aggiungerei anche rispetto alla tante direzioni della poesia contemporanea che tendano alla riduzione, all’ornamento, al manierismo o all’esibizione dell’Io autoriale. L’interesse che suscita il Concerto per l'inizio del secolo sta nella sua caratteristica fondante di essere così diversificato nei generi letterari, nel tono, nel registro e nei linguaggi e sostenuto da una spinta etica incessante e da un progetto di scrittura radicato nell’esistente in tutta la varietà delle sue manifestazioni. È come una sorta di Decathlon letterario nel quale, più degli esiti nelle singole specialità, vale la loro somma: l’Autore e l’Opera complessivamente intesi: “cuore di spadaccino che mai trafiggerebbe / perlustra la battigia con amore, a mani vuote / raccoglie un flacone ammaccato / così forte è la luce che l’azzurro della plastica sbiadisce / ogni tinta scolora, ogni ragionamento scioglie [...] – la barchetta nel lavandino colmo dell’infanzia / pescava pesantissimi tonni il lupo di mare – / sognarsi isola e non robot, eliminare la rissa dal petto / così rimette i sandali, mormora un ritornello / sull’orlo della tana, un granchio attende che lui se ne vada.”
Nel Concerto appaiono personaggi e situazioni, anche sotto forma di confessione, chiacchiericcio o dialogo, appartenenti a diversi mondi, talvolta descritti con sarcasmo, da commercialisti a operai a “compratori del mondo”: «L’ebetismo colonizza le flebili animelle / a colpi di etichette, di satinati cataloghi, sono tutti molto belli i compratori del mondo, / hanno una lingua rasposa che non ti dico, e fuochi / tatuati sulle scapole, taluni “so bene, so bene, so / l’educazione, lo so...”. Cosa sa del tremore / del tunisino che smercia la propria pelle carrubo / scivolando sulla polvere le mecap bianche accecanti? [...]». A convincere, nell’affresco che si presenta al lettore, è la visione che mantiene vivo lo stupore e attiva la critica, registra fenomeni della realtà e li trasfigura, prende atto di una fase storica, antropologica, che si chiude e di un ciclo che si affaccia. E nel quale chi scrive mette in atto con i propri strumenti, con la lingua, con la scrittura, la vita: il progetto che gli è proprio e possibile: “Menare la giovinezza, menare / la minchia sotto il cavalcavia / quando il giorno richiude la palpebra / e un rigagnolo scintilla sul canale, / quando l’afrore delle acque permea, / quando si può costruire la storia: / una pellicola dove si è il centro / e basta la presenza...“

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                                                                                                                             Luigi Cannillo

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Da CONCERTO PER L’INIZIO DEL SECOLO di Roberto Minardi


Motivo per una nuova vita n.1
 
In qualità di roditore chiese alla noce di dargli del tempo,
perché sarebbe riuscito nell’impresa di forarla.
Data la tecnica balorda vennero a galla le fantasme,
si presentarono quasi in fila, spudorate, quasi in danza.
E non è come patire le pene degli inferi, ma viene
turbato da fitte vulcaniche e qualcosa va a perdere –
e una cosa dolcissima, una sola dolcissima punzione,
una veduta che esalti e la circolazione e il corpo,
che rubi corpo e elevi il tutto dalle bave, solo uno spunto,
date, date il la che condanni all’aperto amore, alare...
Sua moglie avvertì le prime doglie, le numerò, contraeva.
La vita stava per prendere nuovamente il moto magmatico
ed era questa la maniera di scoprire ognuno dei perché –
incrocio ottico di faggio, ciliegio a grappoli e sicomoro,
forse un cipresso, con spazio aperto per l’interpretazione,
dite papale chi sono e se tutti i sognati socialismi
permetteranno ai sé e medesimi di mettersi da parte...
E sogno non è ma una fragranza che si profila a tempo:
prima d’amare o durante bisogna giacere nei limbi.


Mare
 
cuore di spadaccino che mai trafiggerebbe
perlustra la battigia con amore, a mani vuote
raccoglie un flacone ammaccato
così forte è la luce che l’azzurro della plastica sbiadisce
ogni tinta scolora, ogni ragionamento scioglie
 
con le orme dei suoi più che bianchi piedi prosegue
così facendo trae in salvo il mare, la terra
è la mobile arena che l’andamento storce
affossa le caviglie dell’uomo dell’urbe
lascia la ferocia dei raggi fare il corso che deve
 
oltre la storia uno scafo compie un mezzo cerchio
le sue pernacchie al largo spadroneggiano
per credere nei secoli c’è il mare, un galleggiante rosso
si affaccia da un triangolo di luce che scoppietta
non resta che tacere, in controluce squaglia ogni certezza
 
– la barchetta nel lavandino colmo dell’infanzia
pescava pesantissimi tonni il lupo di mare –
sognarsi isola e non robot, eliminare la rissa dal petto
così rimette i sandali, mormora un ritornello
sull’orlo della tana, un granchio attende che lui se ne vada.
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Anticipazione n.7
 
Gli zii esibiscono i loro avambracci duri come pietra. Uno zappa, uno estirpa, uno raccoglie, uno solleva, uno taglia di sbieco. Ognuno a turno mi sorride teneramente e con altrettanta bonarietà mi sfotte per via dei capelli a spazzola. Realmente sono al di qua della scena e so bene di essere per sempre quel saggio di otto anni circa, di condividere amore e ottusità.