Su e da "DEFROST" di Diletta D'Angelo. Recensione e scelta dei testi a cura di Mauro Barbetti
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Diletta D’Angelo nasce a Pescara nel 1997 e consegue la Laurea Magistrale in Italianistica, culture letterarie europee e scienze linguistiche presso l’Università di Bologna. Nel 2019 viene selezionata come autrice emergente per "RicercaBO-Laboratorio di nuove scritture" a cura di Renato Barilli, Niva Lorenzini e Gabriele Pedullà. Tra il 2019 e il 2020 è segretaria e collaboratrice del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna. Nel 2021 vince il concorso "Esordi" di Pordenonelegge. Nello stesso anno inizia la sua collaborazione con la casa editrice Industria&Letteratura come social media manager. Nel 2022 vince il premio "Ritratti di Poesia. si stampi". È tra i fondatori del progetto "Lo Spazio Letterario" e attualmente cura l'ufficio stampa di Interno poesia.
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Ho incontrato la poesia di Diletta D'Angelo in quel di Montecosaro agli incontri letterari organizzati da "Umanieventi" e qui ne do una breve lettura personale. Apriamo dunque il suo libro.
Nel pomeriggio del 13 settembre
milleottocentoquarantotto, nella Contea di Windsor,
un operaio statunitense nato l’otto o il nove luglio
faceva esplodere la roccia
che bloccava il passaggio della linea ferroviaria. Schizzò in aria il ferro di pigiatura
gli attraversò la parte anteriore della testa. Dopo pochi minuti era di nuovo cosciente [...]
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Tutto il bene lo trovi da sempre nel fondo dei piatti
amore residuo di sugo e di grasso, di bucce scorticate
(spellate al millimetro)
nelle pratiche meticolose: tagliate riempite ricucite ripetete
rimpolpando le ossa [...]
Già in questi versi, estrapolati dalle pagine di apertura, possiamo intuire la complessità di vicende e modalità espressive che caratterizzano il libro d'esordio di questa giovanissima autrice, un esordio coronato subito da vari riconoscimenti (vincitore, sia pure in una fase di prima gestazione, del “Pordenonelegge Esordi“ 2021, quindi 1°classificato nel prestigioso Concorso “Ritratti di poesia. si stampi" 2022 e in seguito a questo pubblicato da Interno poesia).
La silloge si snoda nell'intreccio tra caso clinico (quello di Phineas Gage) e la sua trasposizione su un piano personale e familiare dove il “traumatizzato” è rappresentato dalla sorella. Si fluttua tra nuclei di tenerezza, (mi verrebbe da dire di “virile” tenerezza, se l'aggettivo non fosse inappropriato a descrivere una scrittura che porta comunque in sé una sensibilità femminile) là dove la poeta scava nella memoria personale o descrive figure-simbolo di marginalità, vittime confinate nella loro disperata alterità e nuclei di durezza, là dove invece richiama alla mente fredde immagini di morte, soprattutto quella animale e i crudeli riti ad esse sottese, una mise en scene che a tratti si fa quasi artaudiana. Anche la dimensione familiare, lungi dall'essere descritta in maniera idilliaca, oscilla tra due poli, da un lato ricordo, affetto (sia pur squilibrato), nodo certo, dall'altro, luogo a cui sfuggire, mancanza di respiro, trauma. Termini come frattura, ossa rotte, sangue, urla, abbondano nei testi creando il corpo di questa raccolta, un'anatomia della lesione, dell'instabilità, della violenza rimossa, così come abbondano termini come gabbia, macello, prigione (mai citata esplicitamente ma suggerita ad esempio nella descrizione di un noto caso di psicologia sociale, quello dell'esperimento carcerario di Stanford) che ne definiscono lo sfondo, la scenografia, l'angusta geografia. Alla lettura si nota da subito un'alternanza di stili, uno più piano e asettico, quasi da “prosa in prosa” ed uno più lirico, sia pure di una lirica ultramoderna, priva di fronzoli metrici e convenzioni letterarie, ma comunque permeata di ritmi sincopati, allitterazioni, richiami fonetici, con una voce poetica che utilizza a seconda degli scopi la prima persona singolare, nelle parti più “confessionali”, la seconda persona, nel dialogo intimo con qualche interlocutore familiare, la terza, là dove, descrivendo personaggi e eventi vissuti, l'autrice sente la necessità di allontanarsi da una materia troppo sensibile o di dare al suo discorso una valenza oggettiva attraverso un linguaggio scientifico-analitico e finanche, in taluni casi, lacerti di voci esterne, espressi nel testo dal carattere corsivo. Totalmente assente, invece, risulta la dimensione di un “noi”, quasi a marcare l'impossibilità di una reale condivisione, di un terreno comune da esperire o di un'Arca che permetta un ipotetico salvataggio.
Oltre al tradizionale svolgersi in orizzontale dei testi (sia pure senza ordine cronologico), ce n'è anche uno in verticale, realizzato attraverso il ripetersi di uno stesso titolo/tema che ritorna in ognuna (o quasi) delle quattro sezioni di cui è costituito il libro (Anamnesi, Auscultazioni, Incisioni, Anatomie): così abbiamo La colonia, tre testi in cui si concentra un'analisi tra il sociologico e l'etologico sulle ambiguità dell'aggregazione familiare, abbiamo i Replaced, dove l'autrice ricostruisce tracce di rapporto con la sorella, sorta di Phineas Gage domestico e il trauma da lei subito, i Freezing (I-II-III-IV), dove si analizzano o si confessano meccanismi di difesa e rimozione personale e i Phineas Gage dove si segue lo sviluppo di questa vicenda, ben nota nella letteratura clinica. Insomma, un libro complesso, composito e proteiforme, di cui in chiusura vi voglio lasciare in lettura ulteriori suggestioni.
Mauro Barbetti
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Da DEFROST (Interno Poesia 2022)
Si stringe la piccola vita tra le braccia,
si stringe, si stringe e non respira non si deve sentire,
nel quadrato sporco di sabbia rappresa aggrappa le dita
si piega, il naso sulle ginocchia, si stringe, si stringe le costole
se non lo tiene, se non lo tiene stretto al suo interno
esce il rantolo di bestia, in silenzio si stringe e si scava le ossa,
le aggrappa per non perderle, per non farle cadere nello scarico, portate dall’acqua
LA COLONIA
Erano un’aggregazione strutturata: gerarchizzata,
instabile, tumultuosa. Ogni giorno si facevano un po’ di
guerra. Quando uno si allontanava dall’harem, quando
non faceva ritorno da troppo tempo, c’era il rimpiazzo,
la scarica di attenzioni rivolta a una cosa, l’inserimento
(che non era mai inserimento vero nella famiglia) di
uno estraneo, di un animale diverso.
REPLACED
È un ticchettio che non viene ascoltato
non sanno come non sanno
dove appoggiare l’orecchio
ormai è fatta di frammenti, della sabbiolina che senti se capovolgi
le cose rotte dentro
FREEZING II
Mi hanno insegnato ad avere paura
delle cose che possono capitare:
dormire con gli elastici ai polsi; accarezzare gli animali
degli altri; storcere gli occhi; sporgersi troppo dalle finestre; ingoiare
prosciutto e uova sode; attraversare la strada davanti casa;
camminare sul marciapiede