Su e da "DISSOCIAZIONE ELEMENTARE" di Silvia Gelosi. Nota di Umberto Piersanti e recensione, con selezione dei testi, di Roberto Casati
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Silvia Gelosi è nata a Recanati nel 1977.
Ha vissuto e lavorato tra Macerata e Ancona fino al 2010. Attualmente risiede a Sarnano con il marito e i loro tre bambini.
Fa parte dei volontari NpL e ogni tanto miscela drink.
Dal 2014 frequenta la scuola di cultura e scrittura poetica “Sibilla Aleramo” diretta dal professor Umberto Piersanti. Scrive poesie e racconti brevi.
Le sue poesie sono apparse in diverse antologie.
Nel 2016 ha pubblicato una raccolta di versi intitolata Frammenti.
La sua raccolta di versi Dissociazione elementare (Arcipelago itaca, giugno 2022) è risultata 2^ classificata in occasione dell’edizione 2023 (la 15^) del Premio “Oreste Pelagatti”.
Il suo il blog è www.lascrittoressa.com.
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La Dissociazione Elementare di Silvia Gelosi è la dissociazione dell’uomo di fronte alla complessità dell’assurdo del vivere.
Perdita, desiderio, speranza sono i temi che attraversano tutta la raccolta.
Di fronte a questa umana dissociazione del vivere resiste una ricerca del senso. Come dice Villalta, in prefazione, tra gli eventi che abbiamo scelto e quelli che abbiamo subìto non c’è poi una grande differenza: anche gli eventi scelti sono frutto di una serie di circostanze che non dipendono dalla nostra volontà.
La lingua è sicuramente inquieta, le metafore sono numerose, ma il senso si riesce sempre a comprendere.
Citiamo alcune espressioni dotate di una forza e di una incisività veramente notevoli: “Qui è come sporgersi di fronte un abisso con gli occhi chiusi”. La precarietà è “la foto scattata al volo / di un auto in corsa”. “Il lancio dal trapezio è senza rete”.
Quella di Silvia Gelosi è una poesia esistenziale in cui non mancano notevoli squarci paesaggistici, soprattutto autunnali e invernali, che meglio rispondono all’atmosfera complessiva di questa raccolta.
Umberto Piersanti
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Silvia Gelosi, giovane poetessa marchigiana, arriva in libreria con la raccolta Dissociazione elementare edita da Arcipelago itaca. La prefazione di Gian Mario Villalta indirizza il lettore alla lettura di un testo tutto da interpretare: “si alterna qui un dire tra parentesi quadre, giustificato a destra, quasi inabissato in una dimensione più interiore, a un più aperto e tradizionale esprimere in versi la propria condizione. Un dentro e un fuori”.
In effetti la raccolta è tutta un gioco di specchi, tra il vedere la propria vita dal di dentro e dall’altra parte esprimere la propria condizione elevandosi, guardandosi dal di fuori, da un po’ più lontano, da un po’ più in alto luoghi e cose della vita di tutti i giorni, stati d’animo, visioni e desideri a volte abbandonati in una “…foto scattata al volo di un’auto in corsa”.
È una raccolta che esprime, con una sincerità di fondo ben evidente, un tempo fatto di paure, di stagioni che passano lasciando tracce nell’anima forse più evidenti che sul viso, di una tristezza che viene però subito dopo superata da una nuova speranza nel domani segnalato da un sorriso che sul viso di Silvia Gelosi è sempre presente.
È presente di fondo un senso di inadeguatezza per non poter definire una verità assoluta, comprendendo che la fatica di vivere è la ricerca quotidiana, di ogni momento, di una verità possibile, di una realtà che cambia al cambiare del proprio stato d’animo.
Ecco che allora il testo di introduzione alla raccolta ci segnala un certo disagio, il rendersi conto di essere un corpo sfilacciato, senza orlo, in balìa degli eventi, ciononostante, quasi inconsapevolmente, ancora resistente.
Alle tre parti di me che, senza saperlo ancora,
hanno tenuto insieme la maglia, tutto il filo della trama
che negli anni ha perso l’orlo, diradando l’ordito.
Nei versi delle pagine 22 e 23 è chiara la sensazione di non riuscire ad essere parte del quotidiano, fino a sentirsi dimenticata, messa da parte, coccio confuso tra le foglie.
[Sono
l’immagine ferma che sta in disparte,
un segnalibro dimenticato
a pagina novantanove.
Sono
la sera chiara mentre il passo è svelto
la foto scattata al volo
di un’auto in corsa.]
Ecco io scopro adesso
di essere incisione
la crepa che ha dato luce mentre
cercavi un traguardo antico
non sarò mai gli altri nel mondo
non importa se lo impari,
sono pietra rotta
sminuzzata e concessa
ora rimango luce sparsa tra i tagli vivi
i resti dei discorsi, i cocci buttati qui
tra le ombre a righe
confuse dalle foglie.
Nelle successive pagine 32 e 33, invece, pur rimanendo in disparte con la propria diversità, Silvia Gelosi si sente parte attiva, fuori dalla vista ma comunque in contatto con la natura ed il tempo che la circonda.
[Sono la follia che tace chiusa
dentro la parola scarna
fatta sintesi di luce
(pelle di tamburo che vibra nonostante)
Sono quella parte che rimane accanto,
fuori dalla vista mentre
mi salvo ancora senza riparo
come la gazza negli inverni
tra gli alberi le foglie
e la neve sempre sullo sfondo.]
È distorto lo sguardo adesso, ormai inciampo
in una insufficienza. Ero la partitura che aggiustava
il rialzo dai rovesci, io, di tutti quegli anni in cui
è stato cadere, sono rimasta la gamba storpia
la malformazione dell’età breve, deviata troppo presto.
Sono acustica sorda oggi, parola sfibrata, lacerata
dai tagli di un bicchiere rotto, la risposta d’acqua
caduta dentro il lavandino.
Certamente quella di Silvia Gelosi è una poesia esistenzialista, sazia di riflessioni che scavando nel fondo dell’anima riportano in superficie da un filone nascosto tra le crepe il senso del vivere, dell’amare nella vita di donna, madre, lavoratrice (pagine 42 e 43).
[Questo scrivere che squaderna sopra ogni riga
aperta tra un respiro e l’altro mi tiene
un mondo breve
un giardino chiuso all’ombra dove l’acqua
resta ferma tra le crepe – terranera –
sottoroccia che mi scava.]
Questo stare lì ancora e ancora mi dici
ma tu non sai il mio dove e qui
la luce manca, l’angolo è un’ombra.
Piove settembre e ho meno fame
far da mangiare e non avere bocca adesso
si ingiallisce la pianta, muore alla finestra
lo scuro è qui dentro. Soltanto in cucina
tra il forno e il lavandino distinguo
il tempo tra una cottura e l’altra.
Le stagioni mi rincorrono sul retro
il ciliegio che non vuole, l’innesto è una ferita,
lo stesso spacco che non si chiude,
questo niente che mi copre.
A volte per riconoscersi bisogna riuscire a scrivere. Il linguaggio utilizzato dalla poetessa marchigiana è una poesia prosastica se non addirittura una prosa poetica, linguaggio che gestisce magistralmente, offrendo al suo pubblico livelli rilevanti di poesia. Fino a dichiarare, alle pagine 74 e 75, di essere se stessa solo nel momento “magico” della scrittura.
[Stare lì dici,
come le cose accavallate dal tempo ora
siamo il muro, noi la parte spessa
la fatica poi
la malformazione della penna quando finge
quando non mente affatto e senti
il freddo sulle mani mentre strappi
la carta e sono ancora io a volte solo
quando scrivo]
Misuro con le braccia quello che non riesco a trattenere.
La forza con cui contengo ogni cosa sul punto di cadere
con cui ho sempre accolto ciò che mi ha fatto male
è diventata nudità internata, una trasparenza manomessa.
Il linguaggio delle mie mani adesso, è scoperchiato sulle righe
e ad ogni dito sanguina la cicatrice corrispondente.
Guarda, mi dico, sta scorrendo via dal palmo aperto
questo tempo perduto, ritratto e calpestato male,
il mio cammino sbieco legge ogni caduta ogni traversata.
Mi aggrappo così ad un silenzio alla volta, come memoria fissa,
a quelle fotografie chiuse nella scatola di legno
le immagini divise in anni, la distanza – tutta nello spreco del dolore –
i danni delle parole, l’espulsione dalla sporgenza.
Rientro.
Ogni pensiero di pena, fatica o commiserazione trova poi una soluzione profonda nella scrittura, promessa mai chiesta che però serve per ricominciare ad imparare di nuovo a respirare, e riuscendo a respirare, tornare ad una felicità possibile.
In conclusione, questo esordio di Silvia Gelosi è certamente positivo; il testo ha uno stile personale diretto e senza inutili giri di parole, carico di solitudini femminili che dovranno essere sviluppati in future pubblicazioni. Attendo con interesse di poterle leggere.
Roberto Casati