Su e da "I CONGIURATI DEL BOSCO" di Alessio Alessandrini

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Nel leggere I congiurati del bosco di Alessio Alessandrini, uscito per la Italic-Pequod nel novembre 2019 ritrovo certe analogie, già dal titolo, con alcune pagine de Lo spirito del tempo di Morin. Ivi si parla di una cultura industriale altamente tecnocratica, da cui l’uomo sente il bisogno di evadere ricercando la giungla, la savana, la foresta vergine, cioè l’origine dell’affettività, laddove nella raccolta di Alessandrini, invece, il bosco si delinea come linea di fuga, come modo di esperire l’ambiente piuttosto che meta dell’evasione. 
Invece di affondare nelle radici arcaiche del selvaggio, ci si muove all’interno del topos che contiene indifferentemente natura e industria e si cerca di cogliere tutto il paesaggio osservabile, la rete di relazioni che si instaurano e stratificano fin dentro la lingua che viene utilizzata. Così la ricerca del sacro è un tentativo di orientarsi per individuare il valore delle cose e con esso la propria consistenza: lo «...spavento /nella misura che ti è stata  /concessa». Dunque né disincanto né re-incanto, tantomeno illusione. Il campo che viene scelto è quello del "segreto palese" così come viene enunciato in Favola di Goethe. Il tentativo di riportare alla luce l’enigma che il processo di re-incanto nasconde servendosi di una cosmesi soprattutto comunicativa. Nascondere, qui, vuol dire anche creare forme e prodotti che diano l’impressione di aver risolto l’enigma. E questo è un difetto del Marketing come di certa produzione letteraria: maschere "anti-age", occultano l’angoscia che proviamo di fronte al decadimento della materia e fanno in modo che la vita sembri eterna finché si vive. Nel caso del Nostro, invece, questo enigma, il bosco, è la parola che consente il dispiegarsi della meraviglia, e deve essere protetta e coltivata dai pochi che si danno a questa ricerca.
Il libro si sviluppa, mi sembra, alternando due termini i quali piano piano iniziano a convergere: la contemplazione della natura, e l’osservazione critica dell’industria culturale.
Questa contemplazione, però, non diventa mai espressione di un idillio facile, di natura che significa anche "naturale". Sono portato a interpretarla in questi termini: un parco in una metropoli, ad esempio, è già infrastruttura: è destinato all’uso, eroga un servizio di ristoro e impone dall’alto il suo linguaggio. La natura che abita questo libro invece è tipica delle regioni in cui viviamo e significa, però, l’opposto, cioè assenza di infrastruttura (spontaneità da cui si trae un linguaggio). L’esercizio critico, la congiura, consiste proprio nel cercare di trarre un linguaggio anche da narrazioni confezionate come quelle dei negozi nei centri commerciali, ovvero da «...questo incipiente deserto» post-fordista. 
Credo sia questa l’esigenza che anima la tensione del libro: portare la ricerca linguistico-letteraria sul piano etico, metterla a confronto con le narrazioni sociali del quotidiano. Infatti se per quanto riguarda la contemplazione della natura il pericolo che si corre è quello del distacco, l’osservazione critica delle strutture sociali richiama una sorta di partecipazione, anche politica, che rischia di trasformarsi in risentimento e frustrazione. La riuscita del percorso consiste proprio nel tentativo di ibridare questi elementi, senza necessità di sintesi. Magistrali, in questo senso, gli ultimi versi del libro: «Restare nel limite /come un animale braccato /senza l’illusione del bosco.». 
Infine, ci sono alcuni termini ricorrenti che rimangono impressi: "Barocco", ad esempio: «Da dove questo senso di colpa /che portiamo dentro nel confessare /ogni sottile felicità come barocca?».
È questo, infatti, che accade quando la cosmesi prende il sopravvento sulla naturalezza, quando il Marketing piega alle esigenze dell’utile anche gli strumenti e le idee dell’arte, così tutto è "Vano" inteso nel libro come spazio a disposizione, capace di accogliere e legittimare qualsiasi pratica e qualsiasi visione del mondo. Non può dunque che sorgere spontanea la domanda posta nel secondo testo, con un certo candore (Acqua&Sapone): «Si può ancora fare /della letteratura nell’era /del centro commerciale?». Se si alza il volume, se ne può già sentire la risposta che fonda il problema: "Nessun uomo è un’isola", (John Donne, Merton? No, la Conad) "e nemmeno un supermercato lo è.
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Davide Lucantoni
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Da I CONGIURATI DEL BOSCO di Alessio Alessandrini (Ancona, italic 2019, prefazione di Gaia Giovagnoli).
  
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ACQUA&SAPONE
  
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Si può ancora fare
della letteratura nell’era
del centro commerciale?
 
Si domanda il poeta
deambulando nel lapidario
perimetrale di un qualche
Acqua&Sapone
tra smacchiatori e deodoranti,
dentifrici, colliri, sbiancanti,
tutti strumenti vani
di un dettato cosmetico.
 
Questa propedeutica all’igiene
che osa ma non sa trattenere
la polvere sotto al tappeto,
la carie nel dente,
il bubbone sotto l’ascella,
il pulviscolo nell’occhio,
nel paltò la fredda brezza
che ci sorprende.
 
Sospende.
 
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IL ROSPO
 
 
Un rospo acquartierato
tra le foglie della siepe
in giardino:
ci incrociamo con gli occhi
ognuno con il proprio spavento
nella misura che ci è stata
concessa.
Tratteniamo il fiato
incatenati a sentimenti
opachi.
 
Per un po’ torna a nascondersi
poi lo vedo tentar fortuna
sul prato di trifogli o è
per l’acqua che irrompe
dal tubo acceso.
 
Entrambi paghi di una pioggia
estranea e benigna.
 
Entrambi con il gozzo,
il nodo alla gola, liberato
per troppo godimento
innaturale.
 
Scampati al pericolo
di scoprirsi mortale
uno più dell'altro.
 
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LA LUCERTOLA
 
 
Provi a contemplare l’innocenza
esposta della lucertola, del geco
che non si sottrae alla luce
accesa del sole in assedio
come fosse la sola
a costruirsi un sentiero
in questo incipiente deserto,
nell’incendio rosso che
occupa il cielo e fa l’aria
affamata.
 
Nella bellezza così forzatamente
manifesta si insidia l’inganno
ma intorno non vi sono
che fantasmi, profanano
un insanabile sonno.
 
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POST MERIDIEM
 
 
E cosa dire del pallone ossesso
calciato contro il ferro vecchio
di un garage?
 
Una ghigliottina continua
che spezza la noia africana
del pomeriggio.
 
Quale selvaggio senso di abbandono?
Quale richiamo? Che rimorso?
Quale urgenza scolpita?
Perché tanto frastuono?
Chiedere ai vicini di affacciarsi
per avere da loro quale condanna,
quale estremo perdono?
 
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NEL BOX
 
 
Quando chiuso nel box
lanci fuori ogni oggetto,
ti chini e con rigetto
espelli tutto tutto quell’orpello
di giochi, colori, mattoni.
 
È questa la pulizia di cui
parlano i poeti,
l’alchimia del ridurre
tutto all’essenziale.
 
Restare nel limite
come un animale braccato
senza l’illusione del bosco.
 
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Alessio Alessandrini, nato ad Ascoli Piceno nel 1974, è insegnante di scuola media.
La sua prima raccolta, La vasca (Lietocolle 2008), è risultata vincitrice del XXII Premio Letterario "Camaiore" nella sezione "Proposta Opera prima". Nel 2014 è uscita, presso Italic Pequod, la sua seconda opera poetica, Somiglia più all'urlo di un animale, silloge segnalata al XXVII Premio "Camaiore" e al XXIX Premio "L. Montano".
Sue poesie possono essere lette in raccolte antologiche o sul web, o sono state segnalate in diversi premi letterari.
 
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Davide Lucantoni è nato a Sant'Omero (TE) il 28 maggio del 1992. Vive a Tortoreto (TE).
Si è laureato in Economia e management all'Università Politecnica delle Marche, sede di Ancona.
Eccesso di Forma (Arcipelago itaca 2018) è la sua opera prima in versi.