Su e da "LA RIMOZIONE DEL CONFLITTO" di Andrea De Alberti. Con una nota critica di Lorenzo Fava

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Andrea De Alberti è nato a Pavia nel 1974. Prima de La rimozione del conflitto (2024), ha pubblicato i libri di poesia Solo buone notizie (2007), Basta che io non ci sia (2010), Litalía (2011), Dall'interno della specie (2017) e La cospirazione dei tarli (2019).

 

 

 

 

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Andrea De Alberti problematizza, con La rimozione del conflitto, un tema spesso taciuto ma tutt’altro che liminare: il rapporto col denaro. Provo qui a scrivere una serie di impressioni sul volume, edito da Industria e letteratura nel 2024. Innanzitutto, questo è un libro estremamente coraggioso: De Alberti approccia la questione “soldi” in maniera frontale. La fissità del denaro come misura invariabile e tragicamente precisa si manifesta fin dai primi testi ed entra nel vivo a pagina 20: “Le confessioni di Agostino, lo spirito di Hegel, / il gesto di Pilato non possono essere fissati. / I soldi invece attraversano la vita / in un conto o una misura e non muoiono mai”. Assertività (“per non sparire accetta l’abitudine di affermare”) e immaginazione (“L’immaginazione poteva superare una siepe / o un esame di coscienza”) sono le pratiche espressive di queste poesie, gli strumenti di cui De Alberti si serve per entrare nel discorso: mentre il volume Dall’interno della specie, uscito da Einaudi nel 2017, affrontava i temi della lirica prendendoli in maniera laterale; la “rimozione” e il “conflitto” che abitano queste pagine sono in contatto con l’Io divisi solo da una garza sottile. De Alberti si rapporta ad un tema psicanalitico (la rimozione) e uno sociale (il conflitto), come peraltro dichiarato nelle note di chiusura del libro. La magia di questa poesia però non è tanto – non è solo – nello strumento linguistico: è nell’articolazione di un “tema” di cui pochi in poesia parlano, quella dei rapporti che il denaro costituisce tra le persone. “Decide di allevare libri a terra” è una chiusura che rende la lontananza e, insieme, la congiunzione tra quello che è letterario e quello che è pragmatico: questi versi, che per essere pienamente compresi necessitano di nozioni psicanalitiche ancorché letterarie, si collocano in un universo che alterna alla creatività la pratica del presente e il contatto col passato. È la memoria di eventi e situazioni, schermata dalla terza persona singolare, a dare valore a quanto il libro racconta. A pagina 29, Viaggio al termine della notte lo dice a chiare lettere: “la grande sconfitta in tutto è dimenticare”. Il testo di pagina 32 è commovente: “Scrive di notte una lettera: // Caro papà, forse ti sei perso il mio periodo migliore, / è cambiato tutto quel giorno in cui alla televisione, / per caso, passarono la finale dei duecento, / Mennea a Mosca nel 1980 e la voce del telecronista: / recupera recupera recupera recupera. / In questi anni per me tu sei stato / quel telecronista”. In due meravigliosi versi presi dal volume Dall’interno della specie l’autore scriveva: “dove noi non capivamo tu ad occhi chiusi / come sempre ti orientavi”.

Tornando a La rimozione del conflitto, credo che il testo di pagina 37 sia particolarmente significativo nell’esplicitare il “fenomeno intellettuale”, la prospettiva dicotomica instaurata dalla e nella società tra la “speranza” e il “desiderio”: “il rapporto diretto coi problemi / non è detto che abbatta i problemi”, e qui la poesia si fa escamotage per leggere se stessi, ma a questo non si limita, rappresentando “un andare dall’interno all’esterno”, manifestando la distanza tra “ciò che vogliamo” e “ciò che sarà”. Il duro e malinconico contatto tra la materia e la speranza anima tutte queste pagine. La sensazione è che l’autore faccia i conti con un passato di cui vuole annullare l’irrisolto: i versi si fanno espedienti artistici per attuare “la rimozione del conflitto”. È per questo indispensabile riferirsi al lungo testo che inizia a pagina 47, di cui la prima stanza dice “tutto ha propriamente inizio / quando per la prima volta ci danno i soldi per le caramelle / […] è un equivoco fatale”. Rimuovere un conflitto, o quello che io credo sia il conflitto per un poeta di questo secolo, è un’operazione che richiede una tempra personale e psichica di caratura elevatissima. La poesia lirica, assolutamente inutile nelle questioni pratiche della vita proprio perché non muove denaro, è il più efficace metodo di lettura di ciò che è altro quando questo altro è la cosa che più gli è distante e insieme più compresente. Una lente d’ingrandimento, quella di Andrea De Alberti, che osserva con minuzia l’infanzia, i primi pensieri sul cosa rappresenti per il mondo “l’equivoco”. Questo è a mio avviso uno dei motivi per cui questo libro andrebbe letto da chiunque, non solo da chi si interessa di poesia. La questione è infatti cruciale per ogni essere umano soprattutto oggi, vivendo tutti noi un tempo in cui il ruolo del denaro è agli antipodi rispetto a quello dell’arte tutta. Eppure la distanza si riduce, testo dopo testo, in un approssimarsi al rimosso cauto e continuo, scritto da accostamenti mai banali e frasi di un’eleganza piana pur muovendo desideri antichi, come i soldi, in una lingua che non perde mai originalità e freschezza. Il ciò che è stato e il ciò che sarà si pongono in un rapporto dialettico che mantiene una musica calma, lineare, senza vistose inarcature o parole che sbilancino i toni nelle domande che il volume pone; è un altro dato di merito, soprattutto in rapporto all’argomento. Sarebbe infatti facile cadere nella peggiore retorica, o nell’usurata poesia che pretende di essere civile a priori, senza passare attraverso l’indagine del proprio Io. Penso che questo libro sia profondamente “civile”: la questione individuale diventa di riflesso collettiva, e il dibattuto tema dell’autentico trova in queste pagine una formulazione di ciò che è percepito attuale e ciò che, dopo essere stato dimenticato, viene esposto. Si trova una sintesi. Se la lirica rappresenta un affare che ci riguarda tutti – come, senza dubbio, il denaro – lo deve a libri come questo, in cui il singolo, parte della società, affronta a viso aperto il dolore della frattura tra il dentro e il fuori e, senza cedere a formule linguistiche contorte, espone dettagliatamente che tipo di coraggio serve per parlare apertamente di questioni subliminali e centrali nell’esistenza di ognuno di noi.

 

Lorenzo Fava

 

 

 

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Da LA RIMOZIONE DEL CONFLITTO

(industria & letteratura 2024)

 

 

 

 

 

L’immaginazione vive di proiezioni,

una sedia è un piccolo universo.

Ricorda ogni persona cara in una sedia.

Pensa:

quando cominci ad avere la tua sedia

inizi anche a morire,

è come se il tuo corpo entrasse in quell’oggetto,

infatti è proprio per questo che si dice

le gambe della sedia, lo schienale,

i braccioli, il poggiatesta…

 

 

 

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Gli zeri sono belli.

Hanno il guscio svuotato

di una lumaca.

I soldi fanno la bava.

 

Se nell’aldilà

ci sono andate miliardi di persone,

allora l’aldilà è un luogo sporco,

una latrina di campagna.

 

Adesso ditemi:

 

“C’è una salvezza

dove sta per accadere a tutti la stessa cosa?”

 

 

 

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Occupa il suo posto correttamente.

Sa per esempio quando è l’ora di tornare

a casa dal raglio di un asino.

Pensa per questo motivo di essere un privilegiato.

Sa che gli Aztechi chiamano l’oro sterco degli dei

e i Babilonesi feci dell’inferno,

sa che gli Egizi lo associano allo scarabeo stercorario,

conosce la storia di un ricco banchiere

che educava i propri figli

a trattenere per giorni le feci per sfruttare

al massimo il cibo ingerito.

È convinto che gli uomini più ricchi del mondo

siano quelli che mangiano merda.

Poi sente il raglio.

 

 

 

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Ho riportato una storia vera e non discutibile,

in tutto ciò non vi è alcun male.

 

L’infanzia è il nostro letto.

 

I soldi fanno l’infanzia luminosa.

 

Queste storie contengono fatica.

 

 

 

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Viaggio al termine della notte

 

               È forse questo che si cerca nella vita,

nient’altro che questo,

la più gran pena possibile per diventare sé stessi

prima di morire.

 

La grande sconfitta in tutto è dimenticare.

 

 

 

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Esempio: tra il desiderio e la speranza

c’è un fenomeno intellettuale.

Il rapporto diretto coi problemi

non è detto che abbatta i problemi,

rappresenta tuttavia un andare dall’interno all’esterno,

una meta possibile che permette di affermare

ciò che vogliamo ma non ciò che sarà.

Tutta la nostra vita è una zona inattiva intorno a noi,

un’eruzione che minaccia di abbattersi,

a quanto pare, perché stabilito da milioni di anni,

un fenomeno sotterraneo, qualcosa che ci solleva.

Non riuscire a dare risposte fa parte della minaccia.

Ciò non significa che quando non speriamo

non ci poniamo necessariamente una domanda.