Su e da "LE RADICI" di Angela Anconetani Lioveri. Recensione e scelta dei testi a cura di Mauro Barbetti
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Angela Anconetani Lioveri (Jesi, 1991) vive in provincia di Ancona.
Dopo la laurea in Filologia Moderna presso l’Università di Macerata ha insegnato Lingua italiana a persone migranti ed è attualmente docente di Lettere nella scuola italiana di I grado.
Scrive articoli di cronaca culturale e cura interviste per quotidiani online.
Le radici è la sua prima raccolta poetica.
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Le radici (Nullodie Edizioni 2024) è un libro in cui traspare un profondo senso di spiritualità, ma di una spiritualità che non sembra trovare il suo fondamento in una scelta confessionale, bensì in una ricerca più filosofica che religiosa, in un percorso di ricerca declinato più alla orientale che all’occidentale (non a caso una delle citazioni in esergo è tratta da un libro di Chandra Candiani).
Il libro parte dalla dimensione corporea, dalla percezione fisica (Angela è anche danzatrice), da dati e oggetti concreti e quotidiani (“la foto-ricordo, il ticchettio, l'orologio rotto”), ma tendendo subito verso una dimensione superiore.
La realtà esistenziale di sofferenza e limite umano non viene misconosciuta (“Esposto in vetrina, un mondo in disfacimento”), ma trascesa da una tensione tendente verso l’alto - e verso l’altro - (“così puoi connetterti al destino, / manifestare il potenziale inespresso / farti carico dell'altro, tornare / con gentilezza a com'era l'abbraccio”). Spesso il tempo delle poesie è declinato al futuro, quasi ad offrire un’opzione di cambiamento, attuato attraverso un diverso atteggiamento nei confronti del mondo, attraverso una nuova consapevolezza ontologica; sovente si assiste al tentativo di risolvere le antinomie accettandole come elementi essenziali della vita (lo yin e yang della tradizione taoista) o trovando nel ribaltamento della norma il vero senso (“Radicandoti ti avvicini al cielo”, “Siamo dimentichi di quanto Caos / sia all'origine dell'universo”) in un costante bisogno di risolvere la molteplicità del divenire dentro la sua unità (“è attorno al mio centro che lo penso / come una parte del tutto”). Il linguaggio utilizzato allo scopo è scavato, letterariamente ricercato, mai scontato, spesso impreziosito da una ricerca di musicalità fuori da schemi precostituiti (es. la presenza di rime interne o l’uso dell’enjambement).
Tre sono le sezioni di cui è composto il libro che vengono introdotte ognuna da un brano in prosa, in cui una visione onirica dà il la al tema principale: Mappe del sentire, Mettere in verso, Corpo e movimenti fondamentali. Nella prima sezione si parte da una perdita di contatto con il mondo. Questo stato implica un lungo percorso, una faticosa ricerca per ricreare e ritrovare, appunto, la mappa del proprio sentire e esistere. Una volta risolta questa urgenza (sia pure in modo provvisorio e non esaustivo) nel secondo capitolo la poeta si affida alla scrittura, sentita come terapia e - insieme - come possibilità di risposta attiva: la scrittura è, dunque, sia presenza salvifica, sia comunione con gli altri, atto di fiducia nel rinvenimento di senso nel mondo. Ma, così come in Schopenhauer, questo non è che un primo grado di elevazione dalla propria condizione umana, così nell’ultima sezione, non a caso la più solare, si compie un salto ulteriore, il ricongiungimento con le proprie radici, con la lingua dei padri, con il ciclo dell’universo: attraverso la riappropriazione piena del proprio corpo, del movimento, dell’esserci nel mondo (“Rendersi conto che la fine sia fine / obbliga l'orecchio a sentire il battito / la guancia a cercare il respiro / l'occhio a carpire / ovunque sia un movimento. Perciò / preserva il dono finché t'è possibile”).
Del resto la presenza di una volontà, di un Io, nel libro non è mai centrale, ma trova la sua dimensione più vera in un continuo spostamento dell’asse di visione, del riferimento d’indagine: se esiste un io, questo è impegnato in uno stringente dialogo con un tu (che appare spesso dialogo con se stessi, un guardarsi agire, un analizzarsi o, in altri casi, in un accorato rivolgersi a qualcun altro dotato di forte vicinanza identitaria e comunione d’intenti); altrove l’io non è altro che un noi, l’espressione di un sentire comune, dell’essere parte di un tutto: si avverte una continua tensione, una corrente panica, un coincidere dell’umano (o meglio del vivente: uomo, ma anche animale o pianta) con lo spirito del mondo. Ed è proprio in questo che si risolve il dilemma, nella ricerca e ritrovamento di quelle radici a cui rimanda il titolo, poiché le radici, le proprie radici, le radici di tutti, coincidono con le stesse radici del mondo.
Mauro Barbetti
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Da “LE RADICI” (Nullodie Edizioni 2024)
Dalla sezione MAPPE DEL SENTIRE
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Ho sognato di non poter più sentire. Avevo perso la capacità di toccare, discernere il liscio dal ruvido, il morbido, le forme, le superfici, la pelle altrui. Mi guardavo attorno e non potevo udire né vedere. La mia lingua, inerme, non sapeva comunicarmi il dolce o l’amaro, il gradevole o l’acre. Avevo perso il mio profumo, o ero io a non averne più sentore. Vagavo (o forse ero ferma?) senza riconoscere nulla attorno a me. Smarrite le radici, non rimaneva che la parola. Poi caddi...
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Le stazioni di notte sono specchi rotti,
guardarsi è concesso per metà, congedarsi
un errore sempre e comunque.
Siamo soliti dire a domani.
Siamo soli per timore di un insieme.
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«Per oggettivare un soggetto
lo devi riprodurre all’infinito».
Alla mia quarta muta ti vedo
più piccolo, ti sento adagio,
scrivo ai margini,
per tacere insieme.
Dalla sezione METTERE IN VERSO
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Il dicibile non detto, l’indicibile fatto proferimento.
Cerchi un verbo straniero, un annuncio d’allerta.
Non altro che la destituzione della lingua paterna.
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E lo vedi solo ora:
una foglia librarsi in volo, il silenzio
delle foreste, l’increspatura
del foglio, un cuore greve.
Stare sul filo dell’acqua ed essere
per una volta, la risposta alla voce che ti chiama,
una pellicola impermeabile e compatta.
Come un piccolo gesto a riassunto del mondo.
Dalla sezione CORPO E MOVIMENTI FONDAMENTALI
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Relazionarsi alla gravità è un movimento fondamentale,
da sospendere e motivare, oscillare tra equilibrio
e caduta, respirare, stare in piedi, camminare:
non sono che un allineamento, un passaggio
verso un qualcosa d’altro, alternando i pesi
nella materia che si trasforma.
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E c’è uno scarto tra il foglio e il respiro
una temperatura che bilancia i corpi,
lascia spazio a un’idea che fluttua.
Siamo qualcosa di più di dimore
svuotate, un pensiero che ne reclama
un altro, pelle di un corridore al traguardo.
Piedi nudi separano il cielo dalla terra
e questo era pienezza, seppur per un solo giorno.