Su e da "MALA KRUNA" di Franca Mancinelli. Con una nota critica di Lorenzo Fava
Franca Mancinelli è nata a Fano, dove vive, nel 1981.
È autrice di quattro libri di poesia: Mala kruna (Manni 2007), Pasta madre (Aragno 2013), Libretto di transito (Amos 2018) e Tutti gli occhi che ho aperto (Marcos y Marcos 2020). Una silloge di suoi testi è compresa in Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi, 2012) e, con introduzione di Antonella Anedda, nel Tredicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos 2017).
L’esordio poetico di Franca Mancinelli è fulminante. 2007. L’autrice ha ventisei anni, la stessa età che avevo io quando la conobbi, nel novembre del 2021, dialogando con lei a margine di un evento per il settecentenario della morte di Dante organizzato dall’università di Macerata. Era da poco uscito Tutti gli occhi che ho aperto ma trovai doveroso prepararmi leggendo altri suoi libri di versi, cominciando appunto da Mala kruna. Oggi, dopo anni, mi decido a mettere per iscritto quelle che furono le miei impressioni sul libro pubblicato da Manni. Le primissime parole che mi vengono dopo la lettura sono “corpo”, “amore”, “albero”. Leggendo qualsiasi libro di poesia contemporanea, oggi come allora, cerco di intercettarne il “giro di frase”, le cadenze accentuative che i versi segnano sulla pagina, non per un vezzo di studio, ma perché credo i significanti e la morfosintassi ben destreggiate siano di primo acchito ciò che più profondamente e positivamente incide sul mio gusto. E trovo in questo testo tanta metrica italiana, con l’endecasillabo come leitmotiv di tutte le quattro sezioni di cui il libro è composto. Ma al netto della sapienza prosodica dell’allora giovane autrice, i versi non si precipitano in virtuosismi stilistici propri spesso dei novizi, anzi. La metrica qui assolve il suo compito: fa suonare le parole alla loro massima intensità, rende la metafora estremamente calzante, testo per testo, col discorso. Così il quadro intimo dell’autrice o eventi della quotidianità diventano occasioni per dire d’altro: “scendo le scale in bilico / aggrappata alla ringhiera; è tornata la mamma e la gioia / parla forte, lui nella luce / davanti alla porta ha un guscio / e lo appoggia sul tavolo dove / qualcosa ora piange / “è un gatto per me?” // inizia la lotta: / chi raggiunge prima / la cucina / deglutisce più veloce, / chi ha la vera ragione di piangere / intuisce l’istante per spingere / sott’acqua l’altra testa”. La seconda sezione del libro, Il mare nelle tempie, è quella dove più emerge una spiccatissima femminilità: “Domando e un’altra cosa rispondi / tanto è vicino il palmo […] poi il mento sulla tua spalla, le orecchie / una sull’altra, i nasi opposti” oppure “Hai baciato l’osso sporgente / l’anca ramo ricurvo / svanisce il filo di sassi sulla schiena / e ti siedo di fronte / a radici aperte […]”.
Le immagini estremamente originali che Franca Mancinelli svilupperà in tutti i suoi libri successivi – a partire da Pasta madre, pubblicato da Aragno nel 2013 –, trovano già in Mala kruna la loro prima declinazione. La natura è l’humus principale da cui la poetessa trae la forza metaforica della sua poesia: un parsimonioso e attento uso della punteggiatura, di strofa in strofa, fa sì che i testi rimangano impressi nella memoria uditiva di chi ascolta. Apparentemente senza artificio, sembra che la poesia di Mala kruna scorra con particolare grazia tra geometrie e sensazioni fisiche. L’autenticità della voce di un poeta, soprattutto se giovane, a mio avviso si valida anche così: quanto meno peso ha la coscienza letteraria nel dettato, tanto più potente la vena creativa sua propria. Beninteso: Franca Mancinelli è una persona estremamente colta, dall’ampio ventaglio di conoscenze che – e qui si rivela la natura della sua poesia, fin dall’esordio – non cede alla citazione, fa prendere al lettore la strada che porta dall’altro lato del mare Adriatico, nei balcani, in quella lingua croata da cui il titolo è tratto. Il primissimo testo del libro fa: “all’orizzonte un mare diverso / fermava il sangue sotto le unghie; / madre nera nell’isola / ti venne a fianco e ti disse del vento, / un cattivo tempo che non faceva / partire le barche; / poi fissò un punto sul muro / lungo la strada iniziava una festa // mala kruna, disse / piccola corona di spine”.
La quarta di copertina del libro parla di “romanzo poetico di formazione”: la formazione umana dell’autrice rende già in questo primo libro tutta l’intensità del sentimento che sta dietro alla poesia, che ne è la sorgente e, probabilmente, il primo motivo: ne indaga le origini e gli esiti attraversata da “perdite e abbandoni”. Un’osservazione tipografica che avvalora questa tesi – niente è lasciato al caso, a meno che non si tratti di una norma editoriale, non posso ora saperlo – è che le poesie si susseguono pagina per pagina iniziando con la lettera minuscola, mentre maiuscola è nel corso del testo dopo il punto fermo. Un tema, quello della perdita, che – vado a memoria – Franca Mancinelli percorre lungo tutta la sua opera fino al recente volume edito da Marcos y Marcos. “Tutti gli occhi che ho aperto / sono i rami che ho perso”, dice lì un distico a chiusura di un testo. Una poesia dalla terza sezione di Mala kruna, Nel treno del mio sangue, fa invece: “qua dove ogni parola è ramo rotto / albero di musica in riva al mare”. Secondo un elementare sillogismo, “gli occhi” sono “le parole”: se per “poetica” intendiamo anche il sistema di valori che un autore porta dentro e manifesta nelle sue “metafore ossessive” e nelle sue inclinazioni linguistiche, con Franca Mancinelli abbiamo da più di quindici anni una poetica salda. Mala kruna è un libro d’amore? “Non solum, sed etiam”. “Non solo” perché – citando un capolavoro di William Carlos Williams, di cui mi sovviene un passaggio che parla appunto di “architettura delle parole” – “la tecnica dell’immaginario” dell’autrice non prende le mosse esclusivamente dall’amore, anche carnale, nei significati e nella figurazione delle immagini. “Ma anche” perché è proprio di amore che i frammenti trattano, fra simmetrie e silenzi come “cruciverba senza spazi bianchi”.
Lorenzo Fava
Da MALA KRUNA di Franca Mancinelli (Manni 2007)
*
sospeso nel volo breve di un cenno:
“stanco e non torno indietro”
nitido lo starnuto
del cuore. “Predi una medicina”
ma lui guarda lontano
l’orizzonte senza credermi
e non so quale lotta poi continui
più grande, e che gli ricolmi un giorno.
Restano i suoi occhi lontano,
oltre la linea mobile del grano.
*
scandite al buio le parole sono un cerchio
fino all’argento, al filo che taglia
vieni negli anni muti, mani premute
sulle labbra, il corpo perso.
Sempre una favola da raccontare
il mare quieto batte nelle tempie
e m’addormenta.
*
precipitando il mondo
la notte camminavo tra le zolle
su una collina che non puoi sapere
se lenta cresce fino alla montagna
o se t’inghiotte dentro la sua buca
ora solleva una luce la terra
o è il vortice appena il piede tocca
il rullo di granelli dentro il buio.
*
vorrei con le parole aprirti
questa vita come una mano
che sul tavolo capovolta
aspetta d’essere riempita
stretta nella tua. Vorrei la lingua
a chiudere ogni foro, a intonaco
di questo intreccio di sterpi bruciati.
Saremo due camicie
appese l’una dentro l’altra
per una stagione intera
dove la penombra ha immerso
l’amo negli inverni.
*
ora in te è un rudere la casa
franata in una notte, ora
la betoniera mastica la calce,
il tetto spiovuto, la preghiera
che mantenevi aperta con le mani.
Di tutte le stanze resta
l’incavo intonacato dello stomaco.
Tu pesti le sue pozze d’acqua stagna
e la saliva che discende
per essere inumata.