Su e da "OTTO TIPI DI INSETTI" di Stefano Solaro. Con una nota critica di Lorenzo Fava
x
* * *
Stefano Solaro nasce a Genova e vive a Milano, dove lavora nel mondo della pubblicità.
Da sempre lettore di prosa, inizia a dedicarsi alla poesia nel 2016.
Nel 2023, una selezione di suoi versi viene pubblicata nel Settimo repertorio di poesia italiana contemporanea (Arcipelago itaca - Silloge breve risultata vincitrice dell’edizione 2022 dell’omonimo Premio nazionale editoriale) e nel volume Una poesia al giorno (Giulio Perrone). Nel 2024, un suo testo appare sulla rivista – online e cartacea – “Minima”.
Ancora nel 2023, una prima bozza della sua opera prima riceve una segnalazione in occasione del Premio “Bologna in Lettere” - Sezione raccolte inedite. Il suo lavoro in versi ottiene riconoscimenti anche nell’ambito di altri premi di rilevanza nazionale.
Oltre alla scrittura, si dedica alla recitazione con una compagnia di teatro sperimentale milanese e collabora come giornalista con alcune testate online.
Otto Tipi di Insetti (Arcipelago itaca 2025) è la sua opera prima in versi.
* * *
Non conosco Stefano Solaro. Leggo il suo Otto Tipi di Insetti scevro da qualsiasi prospettiva umana che possa condizionare il mio approccio alla sua voce. È il libro a farmi entrare nella persona. Nei versi vengono indicati dettagli di realtà strettamente personali; Solaro li elenca con una naturalezza che mi convince di trovarmi davanti ad un vero. Ringrazio quindi innanzitutto per il dono del libro perché in questi frangenti, ossia la lettura di un autore di cui, prima di questo testo, non conoscevo nulla della produzione, serve una disposizione all’ascolto, alla messa in risonanza del mondo di chi scrive con il proprio. “La scrittura di Stefano Solaro sembra esistere in una dimensione separata del pensiero”, scrive Valerio Grutt nella prefazione, e io credo colga il primario tratto caratteristico della poesia di Solaro. Appunto qualche frase per entrare in questa “separazione”, dato che credo qui si collochi il motivo per cui questo libro mi assuona. Lo fa in primis perché io stesso vorrei indicare quegli oggetti, quei pensieri che scendono dalla sensazione alla cosa che la provoca. Io credo questo libro sia un libro di pancia, e con questo chiaramente non voglio dire che il libro non sia strutturato, lo strumento non sia ben adoperato o la poetica senza forma. Leggendo Otto Tipi di Insetti entro in una “dimensione”. Solaro parte dall’astrazione per concludere, nei testi più riusciti, con uno schianto sulla realtà talvolta intimamente doloroso, ma affrontato con ironia e sagacia: “…l’hai scelto tu / di essere te ma forse è andata bene dopotutto non sei un morto / di fame non sei ancora ritardato sei solo uno che pensa / non starò esagerando / a mettere tutto questo sale sul pollo”. Il primo testo di questa raccolta, prima dell’inizio della prima sezione, è una chiave di sol stilistica, una dichiarazione programmatica, un manifesto di poetica che viene declinato poi per tutto il libro: “…è da qui / che si riparte, dagli scricchiolii alle ginocchia / da dove non andremo oggi / dalla forza finale della resa”. Tutto il libro si configura come una caduta continua a tutti i livelli su cui è possibile leggerlo: “…finiremo anche noi tra i buoni / tra quelli che frustano / per non essere frustati?”, ma all’epilogo, dopo aver incontrato e affrontato con veemenza situazioni e ricordi come una fredda Berlino vissuta in compagnia, episodi domestici ridotti ai minimi termini scrivendo quasi sarcasticamente impressioni e reazioni, illumina ciò che è diametralmente opposto all’impotenza con cui il libro si apre: “proprio io che con la natura non ci azzecco / vorrei restare lì ancora qualche minuto / sotto al vento”, recitano gli ultimi versi. La raccolta si svolge quindi come la rivelazione profonda di un’emotività che non cede all’elegia, non canta il dramma, piuttosto lo inquadra come una cinepresa, accoglie senza alcun filtro i dettagli, talvolta minimi o riflessi, che il quotidiano offre quasi come uno spunto per comprendere e comprendersi. Chi legge entra così nel mondo di Solaro, nella sua persona; ci sprofonda vedendo ciò che lui riceve e a cui reagisce, riducendo la vena sapienziale ad una contingenza raccontata senza pudore né alcun tipo di difesa: “Dopo un minuto scorrevo fiche e tette / ostaggio della mia mano”, conclude un testo che parte da un assunto di Foster Wallace. È su questa verticalizzazione discendente e sulla maniera con cui viene articolata che il valore di questo libro si gioca. “mi sembra aspettassi un pacco, una consegna / sono uscito lo stesso e non mi chiedo / se qualcuno lo conserverà per me. Forse / ho lasciato perfino la porta di casa aperta”. Molto interessante è il modus operandi con cui l’autore chiude i testi: uno scarto di senso rispetto ai pensieri che i versi scandiscono provoca, se non un ribaltamento, almeno una scollatura, la “dimensione separata”, appunto, di cui viene detto in prefazione. E questo modo di comporre dà i risultati migliori quando più la distanza del testo dall’idea si fa evidente. Uno dei componimenti in cui quest’attitudine è più visibile è la seconda poesia della sezione che dà titolo al volume. Qui i tratti distintivi della voce di Solaro sono compresenti. “domani in pausa pranzo mi diranno / ti trovo bene accidenti è servita / la malattia sei un po’ dimagrito / ma sembri carico. Sembri pronto”. La droga, le ragazze, la mondanità che si infilano tra le maglie della poesia e che le danno, in un certo senso, principio e termine, sono alcuni fotogrammi di rara limpidità; quando sono questi a toccare i dettagli in maniera cinematografica lo scarto, la separazione, fa toccare i vertici espressivi più felici: “Ieri ho finito un libro sulle dipendenze / anni fa l’autore s’è impiccato / io invece mangio carni bianche / mi aiuto con l’auto-aiuto / con l’igiene”. A fare da controcanto all’ironia, o forse ad esserle consustanziale, è la malinconia di un tempo andato, relegato al passato in maniera irrevocabile: “Stavamo tutti insieme almeno otto anni fa / a guardare attori e attrici / vivere per noi / la spaccatura era lontana / questo salto negli adulti senza trionfo né coraggio”.
Lorenzo Fava
* * *
Da OTTO TIPI DI INSETTI (Arcipelago itaca 2025)
*
Cosa esattamente mi vorresti dire.
Come esattamente dovrei reagire.
Cederti il mio spazio, versartelo
nel bicchiere con il calmante
di un risveglio insieme
sanato appena
da queste garze nere.
In circostanze meno affrettate sarei morto
per te. Ora invece
schiaccio tutto con le dita
e tutto, tutto quanto
mi costa fatica.
Mutua
Una settimana in malattia
un occhio gonfio, corpo che torna
alla biologia. Cibo in frigo da scaldare.
Ma il meglio arriva il sabato
quando nessuno ha ancora scritto
né reclamato il suo te
il coro dei contorni è solo una sirena in strada
due errori coincidenti
il gusto fuori posto del miele nel caffè.
*
Ho smesso di osservare a inizio luglio
quando sono arrivati i preventivi
i link dei mobili, le richieste di prestito
le chiamate a perdifiato.
Poi le ferie con l’auspicio
di dare la schiena al mare
acciughe in mezzo ai denti
per calmarsi un po’.
Mi sono fidato dei piedi scalzi
di poco vino da solo
ma niente va come programmato.
Una signora fotografa la Baia del Silenzio
le previsioni dicono che con Giove
si vedrà anche Saturno
che la vita d’ora in poi sarà all’aperto
che sono tutti occupati i tavoli
vicino alla riva, che questa è l’ultima
estate a Sestri e non ho fatto
ancora un bagno a mezzanotte.
*
Via Savona 122
Accumuli, impianti, elementi solidi
nel niente dalla mia finestra.
Li vedo oggi, sì, credo sia oggi
ma il niente è niente mentre loro sono
gru, scavatrici, terne – ho cercato questa parola.
Costruiranno palazzi nuovi
di fronte, ai lati, su tutto il perimetro del reale.
Questo è il mio pomeriggio: evitare
gli specchi, pulire con dedizione
trovare la distanza dagli oggetti
scelti per scortarmi: di nuovo libri, ortaggi
occhiali che non mi servono davvero.
*
Domani ci drogheremo, è già deciso
è tutto pronto e ci ho pensato io
giusta fine di un anno in cui s’è visto
come tutto si disfa, la casa, la coppia
poi come ogni anno nevica, si scenera
la vigilia, gonfi di vino sulla stessa sedia.
Eppure questo freddo un po’ mi dà speranza
sembra quella notte di un decennio fa
a Berlino col mio migliore amico la mia miglior ragazza
il migliore me a rincasare
battendo i denti dopo delle birre allo Stereo 33
non si diceva una parola
ma solo per il gelo
poi a casa con una coperta davanti a Google
scoprivamo gridando come scemi
la misura di quel freddo.
Meno diciassette, da non crederci
allora non lo sapevamo
ma penso che per tutti sia ancora un record.
*
Grazie alle tonsille in fiamme
mi trattengo dal parlare a vanvera
per strapparti una risata
noto bene i tuoi incisivi
che hai le scarpe poggiate sul sedile
che sposti il mento a destra se hai lo spazio
per essere un minuto triste
che quando taccio non mi fissi
non soddisfi il punto di domanda
che urlo col mio girare la testa
guardi dritto ed io torno alla strada
evitando di schiantarci
per la distrazione di gonfiare ogni momento
sarebbe un peccato
ora che tutto è appena iniziato.