Da "VERRA' LA MORTE E AVRA' I TUOI OCCHI" di Cesare Pavese. Con la nota introduttiva all’omonimo volume del 1951.

          I versi de La terra e la morte che Pavese scrisse a Roma tra il 27 ottobre e il 3 dicembre 1945 si distaccano nettamente da quella che era stata la sua produzione poetica fino a cinque anni prima, e vanno situati nel quadro degli altri scritti pavesiani di quell'intensa stagione: l'atmosfera di mitologia mediterranea è la stessa dei Dialoghi con Leucò e del romanzo scritto a capitoli alterni con Bianca Garufi (Fuoco grande); l'impegno politico, che qui si esprime sotto forma di rimorso elegiaco di fronte ai caduti nella lotta, è quello che viene definito nelle pagine saggistiche e programmatiche di quel periodo.
          Pavese pubblicò il gruppo di queste nove poesie, col titolo complessivo di La terra e la morte, in "Le tre Venezie" di Padova, rivista diretta da Antonio Barolini, anno XXI (1947), fascicolo 4-5-6. Due poesie del gruppo («Terra rossa terra nera» e «Tu non sai le colline») uscirono anche, per destinazione dell'autore, nel catalogo Mostra di disegni del pittore Ernesto Treccani, "Galleria di pittura", Milano 1949. Sempre vivente l'autore, il gruppo di poesie fu riportato integralmente da Giacinto Spagnoletti nella sua Antologia della poesia italiana 1909-1949, Guanda, Modena 1950 (si veda nel diario Il mestiere di vivere alla data 17 dicembre 1949).
          Le dieci poesie di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (otto in italiano e due in inglese per Constance Dowling), scritte (probabilmente tutte a Torino) tra l'11 marzo e l'11 aprile 1950, sono state trovate alla morte di Pavese in una cartella nella scrivania del suo ufficio nella casa editrice Einaudi. Dattiloscritte, portavano titoli e date di pugno dell'autore, come pure di pugno dell'autore era il frontespizio: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi / 11 marzo - 11 aprile 1950. Sono state pubblicate nel volume postumo omonimo (Einaudi, Torino 1951) insieme a La terra e la morte.
 
La nota introduttiva a Verrà la morte e avrà i tuoi occhi di Cesare Pavese (Einaudi, Torino 1951)

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Cesare Pavese è nato nel 1908 nelle Langhe, a Santo Stefano Belbo. Laureato con una tesi su Walt Whitman, si afferma come critico letterario e traduttore (Sinclair Lewis, Sherwood Anderson, John Dos Passos, Joyce, Melville) lavorando all’Einaudi. Entrato nel movimento “Giustizia e libertà”, viene arrestato e confinato a Brancaleone Calabro. Dopo la guerra torna all’Einaudi e gioca un ruolo chiave nella rinascita culturale del paese. Le sue raccolte di poesia: Lavorare stanca (Solaria, 1936, e Einaudi, 1943), Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (Einaudi, 1951), Poesie del disamore e altre poesie disperse (Einaudi, 1962), Poesie edite e inedite (Einaudi, 1962, a cura di Italo Calvino). Tra i romanzi e racconti: Dialoghi con Leucò (1947), Il compagno (1947), La casa in collina (1948), Prima che il gallo canti (1949), La bella estate (1950), La luna e i falò (1950). È morto suicida nel 1950.

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Da VERRA' LA MORTE E AVRA' I TUOI OCCHI di Cesare Pavese (Einaudi, Torino 1951)

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Da LA TERRA E LA MORTE

 

Terra rossa terra nera,
tu vieni dal mare,
dal verde riarso,
dove sono parole
antiche e fatica sanguigna
e gerani tra i sassi –
non sai quanto porti
di mare parole e fatica,
tu ricca come un ricordo,
come la brulla campagna,
tu dura e dolcissima
parola, antica per sangue
raccolto negli occhi;
giovane, come un frutto
che è ricordo di stagione –
il tuo fiato riposa
sotto il cielo d’agosto,
le olive del tuo sguardo
addolciscono il mare,
e tu vivi e rivivi
senza stupire, certa
come la terra, buia
come la terra, frantoio
di stagioni e di sogni
che alla luna si scopre
antichissimo, come
le mani di tua madre,
la conca del braciere.

27 ottobre 1945.

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Sei la terra e sei la morte.
La tua stagione è il buio
e il silenzio. Non vive
cosa che più di te
sia remota dall’alba.

Quando sembri destarti
sei soltanto dolore,
l’hai negli occhi e nel sangue
ma tu non senti. Vivi
come vive una pietra,
come la terra dura.
E ti vestono sogni
movimenti singulti
che tu ignori. Il dolore
come l’acqua di un lago
trepida e ti circonda.
Sono cerchi sull’acqua.
Tu li lasci svanire.
Sei la terra e la morte.

3 dicembre 1945.

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Da VERRA' LA MORTE E AVRA' I TUOI OCCHI (11 marzo - 11 aprile ’50)

 

Hai un sangue, un respiro.
Sei fatta di carne
di capelli, di sguardi
anche tu. Terra e piante,
cielo di marzo, luce,
vibrano e ti somigliano –
il tuo riso e il tuo passo
come acque che sussultano –
la tua ruga fra gli occhi
come nubi raccolte –
il tuo tenero corpo
una zolla nel sole.

Hai un sangue, un respiro.
Vivi su questa terra.
Ne conosci i sapori
le stagioni, i risvegli,
hai giocato nel sole,
hai parlato con noi.
Acqua chiara, virgulto
primaverile, terra,
germogliante silenzio,
tu hai giocato bambina
sotto un cielo diverso,
ne hai negli occhi il silenzio,
una nube, che sgorga
come polla dal fondo.
Ora ridi e sussulti
sopra questo silenzio.
Dolce frutto che vivi
sotto il cielo chiaro,
che respiri e vivi
questa nostra stagione,
nel tuo chiuso silenzio
è la tua forza. Come
erba vivi nell’aria
rabbrividisci e ridi,
ma tu, tu sei terra.
Sei radice feroce.
Sei la terra che aspetta.

23 marzo 1950.

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Verrà la morte e avrà i tuoi occhi –
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

22 marzo 1950.

 

Passerò per Piazza di Spagna

 

Sarà un cielo chiaro.
S’apriranno le strade
sul colle di pini e di pietra.
Il tumulto delle strade
non muterà quell’aria ferma.
I fiori spruzzati
di colori alle fontane
occhieggeranno come donne
divertite. Le scale
le terrazze le rondini
canteranno nel sole.
S’aprirà quella strada,
le pietre canteranno,
il cuore batterà sussultando
come l’acqua nelle fontane –
sarà questa la voce
che salirà le tue scale.
Le finestre sapranno
l’odore della pietra e dell’aria
mattutina. S’aprirà una porta.
Il tumulto delle strade
sarà il tumulto del cuore
nella luce smarrita.

Sarai tu – ferma e chiara.

28 marzo 1950.

 

The night you slept

 

Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange
muta, dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia –
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t’implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.

La notte soffre e anela l’alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c’è chi come te attende l’alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l’alba.

4 aprile 1950.