Su "NEI GIORNI PER VERSI" di Anna Maria Curci. La recensione di Floriana Coppola
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Anna Maria Curci è nata a Roma, dove vive e insegna lingua e letteratura tedesca. Suoi testi sono apparsi in riviste, in antologie e su lit-blog. Con Fabio Michieli condivide il ruolo di caporedattore del blog letterario “Poetarum Silva”; è nella redazione della rivista trimestrale “Periferie” e del sito “Ticonzero”, dove cura la rubrica letteraria aperiodica “Il cielo indiviso”. Ha pubblicato in rete traduzioni da testi di diversi autori, prevalentemente di lingua tedesca. Sue traduzioni di poesie sono apparse nei volumi: Lutz Seiler, La domenica pensavo a Dio / Sonntags dachte ich an Gott (Del Vecchio 2012), e Hilde Domin, Il coltello che ricorda (Del Vecchio 2016). Anche la sua traduzione del romanzo di Felicitas Hoppe, Johanna, è stata pubblicata dalla casa editrice Del Vecchio.
Sue sono le raccolte di poesia: Inciampi e marcapiano (LietoColle 2011) e Nuove nomenclature e altre poesie (L’arcolaio 2015).
Nell’ottobre del 2019 è uscito, per Arcipelago itaca Edizioni, Nei giorni per versi.
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Ci sono dei libri che devono sostare sui nostri comodini, essere presi e ripresi, aperti e chiusi. Ho letto più volte il bellissimo libro di Anna Maria Curci, Nei giorni per versi (Arcipelago Itaca, 2019), intimidita e affascinata in primo luogo dalla perfetta struttura metrica dei versi. Le quartine in endecasillabi sciolti si squadernano davanti ai miei occhi come un mosaico di tessere unite da rimandi letterari e segmenti esperienziali. Con passo leggero e drammatico, l’autrice ci accompagna lungo un percorso diaristico altamente speciale, dove la cura della lingua e l’immersione nella vita vissuta si intrecciano creando un dispositivo formale e cognitivo di grande sapienza. Surreale e ironica la tessitura delle immagini di volta in volta evocate. La ricerca sofisticata dell’armonia formale si scontra con l’urgenza invece dell’inserimento di frammenti autobiografici, che alludono al senso precario del reale che corrode e consuma ogni cosa.
Il quotidiano diventa oggetto di contemplazione esistenziale. Corporeo e metafisico il movimento metaforico dei versi. I temi sono molteplici e si rincorrono tra le quartine, a volte tessendo delle trame trasversali, dei rimandi che possono essere svelati da una lettura attenta. Infanzia e adolescenza, la famiglia e i suoi volti, l’amicizia, la devozione sensibile verso la poesia, l’arte e la poesia, la natura, gli oggetti e la città amata e contemplata con tenerezza. L’io poetante riconosce con dedizione e meticolosa pazienza l’importanza dello scavo e del taglio di ogni dettaglio superfluo. Scrittura lavorata al tornio con fatica artigiana e sforzo speculativo.
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Nell’interludio tra le glaciazioni
s’inorgoglisce l’uomo, si fa centro.
Pesce rosso nella boccia di vetro
è invece e a malapena se ne avvede.
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Prendo spunto da questa quartina perfetta tra significato, allusione allegorica e determinazione ritmica. Qui si legge la riflessione filosofica sulle derive antropocentriche che assillano l’uomo, oggetto di perdizione e di scollamento tra l’umano e la natura. L’immagine del pesce rosso nel suo acquario rimanda, con estrema amarezza, alla malattia multimediale della visibilità narcisistica che affligge la comunità globale.
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A scrivere si va, furiosamente
col contagocce o piena senza presa.
Senza pudore scimmiotta il lenzuolo
l’ardire di coperta rimboccata.
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Il secondo esempio che voglio esaminare è testimonianza piena del discorso filosofico e metatestuale che in vari punti fa Anna Maria Curci. La scrittura è ardore infiammato e furioso, urgenza inderogabile del poeta. È palese l’inganno consolatorio di questa vocazione intellettuale e artistica. La quartina si chiude con un verso che dipinge in poche pennellate l’immagine di un gesto familiare e quotidiano, intimo e affettivo che risponde alla domanda di chi scrive di farsi egli stesso attore principale di una pratica che medica la ferita del male di vivere, senza però essere fino in fondo medicina taumaturgica ma solo un palliativo illusorio.
Nella tensione degli endecasillabi, elaborati con un processo di sottrazione e di assottigliamento linguistico e filosofico, emerge la formazione culturale e letteraria dell’autrice. I poeti e i filosofi tedeschi sono riferimenti nascosti, velati da uno sguardo ironico e dissacrante che mescola la nota di vita vissuta con la chiusa quasi aforistica.
Quando mi troverai già sfilacciata
dalla tua attesa inerte, mio poeta,
bollandoti la fronte penserai
che mai io sono innocua, io parola.
Si legge tra i versi il concetto di Dasein, la ricerca dell’essere e di esserci da parte dell’uomo gettato nel mondo, come dice Heidegger. L’esserci vuol dire anche prendersi cura del mondo. L’uomo cerca di superare l’oblio attraverso il linguaggio e la poesia. Il poeta è il pastore dell’essere, custode della parola. Così la poesia esprime il senso della vita di un tempo.
L’analisi esistenziale tra intenzione individuale e tensione verso l’altro diventa caratterizzata dal rapporto uomo/mondo. In questa quartina è possibile notare il legame tra l’io poetante e l’io parola, una diade quasi simbiotica, energizzata dal concetto di attesa e di potere.
La forma verbale “bollandoti” indica il bisogno interiore di una certificazione di esistenza, attraverso la parola detta e declamata, atto non innocuo ma pericoloso perché “sfilacciato”. Ciò che ha lo scopo di dare sostanza esistenziale, infatti, è già materia decomposta, corrosa e corruttibile, macerata dall’uso.
La banalità della vita quotidiana, il conformismo collettivo, lo smarrimento dell’uomo contemporaneo, lo schiamazzo stupido e inquinante delle strade irrompono nelle strofe di Anna Maria Curci, che utilizza un andirivieni oscillante tra il passato e il presente, tra lo storico e il metafisico, costruendo un effetto di estraniamento man mano sempre più forte e d efficace.
Quando risalirai il corso dei nomi
(è la lama di dentro che ti spinge)
in faccia al marmo e ai fiori rinsecchiti
saprai che la tua casa non è il mondo.
Ecco il salto ontologico verso il trascendente. Qui si evince la capacità sincretica dell’autrice di utilizzare le immagini concettuali che articolano la metafora esistenziale. Il cammino sepolcrale di richiamo foscoliano viene tranciato per frammenti, segmenti iconici che descrivono con magistralità il movimento interno del dolore sofferto per la scomparsa dei propri cari e quello esterno corporeo della passeggiata nel cimitero. Il verso finale chiude e guarda in alto, completando la circolarità del moto e la conciliazione degli opposti: dentro/fuori e fisico/spirituale. Il dolore è richiamato senza retorica ma l’immagine della «lama di dentro che ti spinge» è magnifica metafora della nostalgia affranta e della malinconia per la perdita degli affetti.
Che sia ciascuno persona di pace,
non in pace. Nelle vostre parole
luce che sa del buio e dell’orrore,
mantello di serena irrequietezza.
Ricordi, memoria autobiografica, squarci metropolitani, interrogativi verso un tu familiare e intimo sono elementi di un radicale esorcismo verso il tempo che passa, verso la solitudine e la dimenticanza. La tensione etica viene in questa ultima quartina che analizzo come presenza consapevole di un imperativo interiore e profondo. «Che sia ciascuno persona di pace,/non in pace», verso che stigmatizza una nudità spirituale che trapela con innocenza e coscienza di una inquietudine esistenziale intramontabile.
Questo libro si pone come una sorgente veramente infinita di spunti, stratificazioni ulteriori e preziose, che emergono declinate in modo esponenziale, con una produzione rigogliosa di significato. Attraverso la bellezza di una gabbia metrica elegante e rinnovata, Anna Maria Curci ci offre una lezione emblematica di stile e di senso, che si imprime dinamicamente sulla nostra coscienza. L’ars poetica, qui contenuta, diventa così flusso drammatico e magnetico dell’esperienza comunicativa, metabolizzata e raccolta, antidoto eccellente alla scontata e avvilente ipertrofia linguistica.
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Floriana Coppola