SU E DA "RETRO SCHERMO" di Mauro Barbetti. Con la prefazione di Marco Di Pasquale

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Mauro Barbetti è nato ad Ostra (AN), nel 1960.
Dopo un periodo di frequentazioni poetiche e musicali negli anni giovanili (anni in cui conosce Franco Scataglini e partecipa alla sua bottega di scrittura) canta e scrive testi per alcune band del capoluogo marchigiano.
Sulla soglia dei trent’anni mette su famiglia e si allontana dalla scena letteraria: “era il momento di tirare la carretta”.
Riprende a scrivere nel 2008.
Negli ultimi anni ha pubblicato: Primizie ed altro (Napoli, La scuola di Pitagora
2011), Inventorio per liberandi sensi (Villasanta - MB, Limina Mentis 2013) e Versi laici (Osimo - AN, Arcipelago itaca Edizioni 2017).
Ha pubblicato versi in vari lit-blog nazionali e ha ottenuto riconoscimenti in importanti Premi letterari come il "Pagliarani", il "Malattia della Vallata", il" Castelfiorentino" e il "Città di Penne".
Insegna inglese nella scuola primaria. È redattore di Arcipelago itaca Edizioni.
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Uno sguardo oltre il confine di Marco Di Pasquale (prefazione a Retro schermo di Mauro Barbetti, Tempra edizioni 2020)
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Nel momento in cui ci accingiamo a recensire questa nuova circostanza editoriale, troviamo contemporaneamente un’occasione propizia per fare il punto sul tragitto schietto e rigoroso che Mauro Barbetti ha percorso e continua a calcare all’interno della sua enquête poetica. Dalle prime prove ad oggi rintracciamo una solida coerenza dei punti interrogativi che sostanziano l’edificio scrittorio, risultandoci manifesto l’intento di immersione e inspirazione della materia concreta, densa e viscosa del reale. Ed anche in Retro schermo l’autore sembra voler indagare lo spazio che si nasconde, da svelare, quella sorta di oltreconfine in cui riscoprire i valori universali e fondanti dell’esperienza umana.
L’approccio di questo confronto chiarificatore con l’hic et nunc è eminentemente laico, non pregiudiziale né fazioso, a fronte aperta e sorriso quanto più possibile sereno, sebbene l’oppressione logorante dell’atomo opaco del male si insinui in ogni cellula verbale e tenti un contagio letale del verso: «la storia imperversa e non insegna / sbaglia chi fa voto di memoria retroversa / il vuoto è avanti a noi la fossa la gogna / - appena un po’ diversa» (Premessa). L’atteggiamento preso nei confronti dell’unica materia che può essere tema della scrittura, la storicità in cui si è immersi e per cui scovare un metodo di galleggiamento, è quello consapevole e in ceti toni sprezzante dello stoico, che tuttavia sente di appartenere, compatire (nel senso etimologico) il mondo e le sue contraddittorie evoluzioni. Il tono in alcuni casi sembra giocare con allitterazioni e paronomasie più che evidenti, che però svolgono una funzione di pietra d’inciampo, di dissuasore alla distrazione, al sorvolamento dei fatti di cui si preferisce « il conforto pratico alla norma / un click in automatico / e tu che ti vorresti altrove / - abiti chic e senza sangue / dentro una non d’altri vita / a casa per le sette / davanti alla TV» (Presa diretta).
La poesia di Barbetti sembra proporsi di seguire le indicazioni, care all’autore stesso e a chi scrive, del poeta Günter Eich: «Siate sabbia, non olio nell’ingranaggio del mondo», affinché la poesia rappresenti un momento di scarto, di violazione della direzione in cui ci incanala l’ermeneutica ufficiale, per la quale ci troviamo nel migliore dei mondi possibili. Nella disamina imbastita verso dopo verso, non si può non sentire quanto si irrida lo schema rassicurante
che la cappa di positivismo capitalista ci impone, quanto si schernisca la teoria di fotogrammi che ci ingombrano il campo visivo: «i corpi il mercato le spiagge i bambini / le barche capovolte le immagini / avvolte le salme distolte le menti / stolte al sicuro lontane» (Notiziario).
La lotta che il poeta è tenuto ad ingaggiare è quella per scoperchiare il vaso di Pandora dentro cui siamo imprigionati: è una visuale ribaltata del mito, quasi che il dolore, i dubbi, le ansie che ci attanagliano siano tenuti fuori da questa membrana anestetica con cui ci proteggiamo, ma che il verso è sempre pronto a squarciare con la stoccata della parola, inferta come una staffilata paradossalmente sanificatrice. Barbetti è strenuamente convinto che «l’uso del lessico / non è mai stato neutro: / calcare là dove si puote / o glissare su ciò che si vuole / non appaia in evidenza» (Questione di forma) ed è in questo meccanismo di denuncia che la «macchia di peccato» evidenziata dalla poesia diviene stigma della nostra contraddittoria esistenza, sebbene chi vive e si crogiola nel flusso ci dica che «occorrerebbe più schiuma / per non vedere il polso storto / per crederci pulito il mondo / e senza segno di frattura. / Sgrassare e sciacquare via tutto» (Rifrazioni d'onda).
Tutto scorre, tutto sembra giustificabile e tollerabile, anche se poi, dando uno sguardo più attento in giro, ci accorgeremmo che « un ricordo di nevaio / si fa roccia verde o niente / transuma un sole in cielo / e pare sempre più vicino» ed a quel punto la sentanza lapidea «sarà così che ci consuma» (ibidem, 15) ci schiaccia ventre a terra per ricondurci brutalmente alle nostre responsabilità. È la voce del mondo che giunge da ogni suo recesso e che esige dazio per il festino che ancora non si rassegna a chiudersi; ed è anche la voce del poeta che si manifesta in tutta la sua fragile compattezza, in tutta la sua disperata volontà di allestire un dialogo, una ricerca condivisa di un rimedio al «non vedere pur vedendo / quando per continuare cancelli / ogni segno evidente ogni croce» (Sui titoli di coda), per non cadere nel baratro «di un disperdersi vano / a cui non c’è terapia» (Patologia del gesto quotidiano).
Barbetti decide quindi di spogliarsi di tutte quelle incrostazioni che impastano il mondo, abbandonando «cartellini da smarcare / cartelle esattoriali / carte da bollo / bolle speculative / bollette da pagare / bollettini dei venti» (Quieto benessere occidentale), sprigionando un monito, scolpito con adamantina semplicità: «Non avrete souvenirs né monetine / guardatevi il palmo della mano / e lì appesi paesi di riviera / lungo linee di sfortuna / dove c’è sempre / qualcuno che si perde» (Foto report). In fondo, questa lucida constatazione non fa altro che tenerci appesi ad un’attesa continua, ad un anelito di domani che accenda ogni giorno la luce e che ci aiuti a combattere un destino, apparentemente segnato, come anonimi prodotti «di un leggero transito / su schermi» (Conclusioni).

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Dalla raccolta

 

PREMESSA
 
Odore di cloroformio
calce viva nosocomio
e maschera sulla bocca
- ciò che non ci tocca
se non per brevi istanti -
tenerli distanti gli assalitori
dal pianerottolo dallo zerbino
da stanze vuote e negozi pieni
dagli stessi andirivieni del mattino
ma l’ermetica fortezza si dovrà pur aprire
nutrire dissetare la prenderanno allora
nel suo essere più fragile e normale
nell’ora del bisogno nel segno
di una salvezza che non c’era
nel pegno di restituire prigionieri
profughi feriti – ed ho sognato ieri
che nell’ampiezza della sera
eravamo finiti in molti - tutti
ci guardavamo e contavamo
avevamo una stella cucita sul taschino
ché la storia imperversa e non insegna
e sbaglia chi fa voto di memoria retroversa
il vuoto è avanti a noi la fossa la gogna
- appena un po' diversa.
 


SCHERMATURA
 
Gratto con l'unghia
la superficie trasparente
- tu lo chiami schermo -
membrana posta a separare
che solo per pietra o urto
ci si potrebbe squarciare
un varco.
Vaso di Pandora
a tenerci dentro
noi del male e del mondo
al male e al mondo fuori.

 

IN ONDA
 
Ad ogni attimo il suo atto
che si smembra che sembra
un dato di fatto invece d’ombra
vettore lineare esatto logo
in luogo di lungo lento dipanare
fare disfare cercare un senso
a questo penso dunque sono.
 

 
TELESORVEGLIANZA
 
La luce
il tardi che la vorrebbe spenta
il tarlo d’una sorte appesa
e l’attesa che spinge invece
a lasciarla accesa
a contare battiti attimi
e atti respiratori scivolati via
kilowatt/ore pagati
a illuminare la frontiera
e la lunga pista verso il nulla.
E' un deserto dei tartari
che ci impolvera la vista.
 


QUADRO D'INSIEME
 
Seguire palazzi a incastro
lungo linee di fuga
in prospettiva meridiana.
La virgola nera delle sopracciglia
si orienta all’estremità dell’inquadratura.
Completa il tutto
un transito di nuvole attraverso.
 
Non si hanno sofferenze.
Non se ne possono avere
nel “migliore dei mondi possibili”.